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Moratti: «Più facile quando avevo l’Inter, che ora! Amavo la classe»

Massimo Moratti è stato intervistato dai canali ufficiali della Lega Serie A. L’ex presidente dell’Inter ha ricordato i suoi anni di presidenza.

NON CAMBIOMoratti : «Oggi sono sempre lo stesso con tutti i suoi interessi di lavoro, che sono i principali della mia vita. Non c’è più l’Inter, l’adrenalina, l’amore che sentivo come dovere e passione. Ma sono preso dalla famiglia e dalle altre attività. Ho la fortuna di avere dei figli e dei nipoti bravi, che tutto quello che si fa ha un significato per il futuro. Faccio una vita normale, ma i medici si arrabbiano sempre. Non solo per me però, ma per chiunque».

DUE MODI − Così Moratti sul vivere l’Inter da protagonista e non: «Sono due modi diversi di viverli, sono opposti. Quando sei responsabile sei preso dal dovere, dalla passione e da tutto. Non molli. Quando sei tifoso sei libero di arrabbiarti con la squadra, con la società. Rimane parte importantissima della nostra famiglia, quando si riferiscono ai Moratti ci si riferisce all’Inter. Ci fa piacere. Era più facile prima perché era più naturale, mi sentivo in un ambito mio. Ora come qualcuno a cui gli è capitata una meravigliosa avventura ed è meno facile giustificare la passione e il resto. L’Inter c’è sempre stata, socialmente è importante. Al di là dell’importanza, volevamo bene a questa squadra. Papà tifoso e grandissimo presidente ci ha regalati questa passione».

PAPA’ − Le parole di Moratti sul padre Angelo: «Da un punto di vista umano, è stato bellissimo sia per me che per i tifosi che hanno partecipato alla cosa come fosse loro. Volevo sempre presente cosa aveva fatto lui. Papà ci lasciava responsabilità sin da piccoli, ci ha detto che nella vita era tutto in prestito. Bisogna fare attenzione sempre.».

IDOLIMoratti sui giocatori amati: «Primo ricordo era Lorenzi, che veniva in vacanza da noi. Mi venne a trovare in un piccolo collegio in Svizzera. Tra le prime partite viste il derby 5-4. L’idolo Skoglund, Lorenzi, man mano Angelillo. Bisogna sempre portarlo un campione perché trascina il pubblico. Nella Grande Inter tutti fenomeni, Corso lo amavo di più e poi quelli cercati e voluti. Davano lustro alla squadra e alla società. Nei giocatori che prendevo cercavo soprattutto la classe. Quando ho preso Samuel capii che non serviva solo la classe, con lui abbiamo aggiustato la squadra. Rimpianto? Solita storia di Cantona, ma non mi è riuscito. Pirlo o allenatori che potevo trattare meglio o peggio, sono tanti. Ma nell’insieme tutto quello che si fa, si fa per il bene della società».

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