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Sensi: “Inter è casa mia e voglio vincere, Conte un padre. Idolo? Xavi”

Il quotidiano “La Repubblica” ha intervistato in esclusiva Stefano Sensi, centrocampista (ancora di proprietà del Sassuolo) in cerca di riscatto dall’Inter. Il suo rapporto con Antonio Conte e la quarantena in casa

DECISIONE – È un periodo importante per Stefano Sensi. L’ex Cesena sarebbe ormai rientrato in campo, se tutto fosse normale. Già, ma se la normalità non fosse una chimera, in questa stagione dell’Inter, probabilmente Sensi (ancora di proprietà del Sassuolo) non sarebbe uscito dal campo quel maledetto 6 ottobre. Il riscatto sarebbe già al sicuro e Giuseppe Marotta avrebbe solamente l’onere di una telefonata a Giovanni Carnevali, per ufficializzare un’operazione scontata. L’Inter riscatterà Sensi e il prossimo anno potrà essere un nuovo inizio per tutti. Ma adesso, col pallone fermo, i dubbi crescono e le nuvole proliferano attorno a loro.

PALLONE FERMO – Quando si tornerà a parlare di calcio? “Il calcio è la mia vita, ma ora fatico a pensarci, riprendere a giocare non è la priorità, ne parliamo anche fra compagni di squadra in chat. Siamo cittadini come gli altri, pensiamo a chi sta male e a chi muore. Ai medici e infermieri in prima linea. Allenamenti? Il programma è simile a quello che facciamo alla Pinetina. Teniamo alto il battito cardiaco. La differenza è la palla, che non tocco mai. Qualche compagno prova a palleggiare in casa. A me non va, non ha senso“.

PADRE – Sul rapporto con Antonio Conte: “Ottimo. È più scherzoso di come si possa pensare. E molto diretto, cosa che apprezzo. Con alcuni di noi, me compreso, ha atteggiamenti paterni. Infortuni? Oggi sono pronto. Anzi, lo sarei. In questo momento penso che il ragionamento valga per tutti. Quarantena? Ho imparato a cucinare. Giulia, la mia ragazza, è diplomata all’alberghiero. Mi sta insegnando: carne, pesce, i pancake per la prima colazione“.

ISOLAMENTO – Quale sarà la prima cosa che farà Sensi quando potrà uscire? “Tornerò dalla mia famiglia a Urbania, in provincia di Pesaro e Urbino, dove sono nato. Quella zona delle Marche è molto colpita dal virus, anche se se ne parla poco. Sento i miei tutti i giorni, sono preoccupati. Solidarietà? Ho fatto donazioni a più ospedali, soprattutto a Pesaro e Urbino, parlandone sui social di modo che qualche tifoso segua l’esempio“.

DISPARITA’Lewis Hamilton ha rifiutato di sottoporsi a tampone dicendo che non è giusto farlo a sportivi se non ce ne sono per medici e infermieri: “Sono d’accordo. I test servono a chi sta male. È un fatto di buon senso. A mio padre, appassionato di motori, sarebbe piaciuto se avessi seguito questa strada. Ma noi quattro figli maschi amavamo il calcio. Quando i miei hanno capito che facevo sul serio, mi hanno assecondato, a 12 anni ho lasciato casa per giocare. Al Cesena, in B, ho cominciato a vedere il sogno da vicino, raggiungibile. Che squadra tifavo da ragazzino? Nessuna. Seguivo i campionati argentino e brasiliano per la tecnica. Ora il mio cuore è solo interista“.

IDOLO – “Da bambino insistevo per giocare in porta, ma la prima volta che l’allenatore mi ha provato fuori non mi ha messo più fra i pali. Il mio idolo diventò Xavi, studiavo i suoi video. Quando mi paragonano a lui mi emoziono, senza montarmi la testa. Idolo di oggi? Non è un calciatore, fa il serramentista. È mio padre, unico stipendio in una famiglia di sei persone. Mamma ha cominciato a lavorare solo dopo che noi figli siamo usciti di casa, in una ditta di tartufi“.

MIGLIORARE – Sui margini di miglioramento: “La visione periferica. Quel colpo d’occhio veloce che permette di intuire l’evoluzione del gioco e fare il passaggio giusto. Una dote difficile da allenare, ma ci sto lavorando. Arrivo di Christian Eriksen all’Inter? Una grande squadra deve avere più giocatori per ogni posizione. Christian ha giocato ad alti livelli, ci ha dato e darà una grande mano. Passioni? Seguo in tv lo snooker. Ho provato a giocarci, ma le palline sono la metà di come me le aspettavo. Non riesco nemmeno ad avvicinarle alle buche. Tatuaggio del panda sulla mia mano? Lo ha anche la mia ragazza, su un braccio. È il nostro simbolo, abbiamo peluche e poster, è una storia di nomignoli. Siamo molto uniti, ancor più in questo periodo di isolamento“.

OBIETTIVI – Sugli obiettivi a breve e lungo termine. “Vincere con l’Inter, che è casa mia. Giocare gli Europei nel 2021. Poi una grande famiglia. Anche la mia ragazza ha tre fra fratelli e sorelle, vorremmo replicare il modello“.

Fonte: La Repubblica – Franco Vanni

 

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