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Inter, da Colonia al derby: quanto e come è cambiato il progetto di Conte

L’Inter oggi è prima in Serie A e non ha altre competizioni da giocare fino a fine stagione. Sei mesi fa la situazione è diametralmente opposta quando, perso definitivamente il treno scudetto, il paracadute Europea League non si è aperto. Il progetto di Conte, dalla sconfitta di Colonia alla vittoria nel Derby di Milano, è cambiato molto più di quanto sembra

SEI MESI DOPO – Il 21 agosto 2020 l’Inter tocca il suo punto più basso dell’anno presentandosi a Colonia per poi perdere la finale di Europa League sgretolandosi senza chiedere “aiuto” agli avversari. Auto-distruzione nerazzurra. Si tratta di “punto più basso” perché arrivare secondi, nella seconda competizione UEFA, non può essere un trionfo da nessun punto di vista. Nemmeno economico! Perdere una finale europea, soprattutto come l’ha persa l’Inter quella sera a Colonia, può solo accentuare i problemi già esistenti. È l’apice di un pre-annunciato decennio di insuccessi. Se qualche giorno dopo Antonio Conte avesse salutato definitivamente tutti, nessuno si sarebbe stupito. Il 21 agosto 2020 hanno festeggiato solo gli anti-Inter e il Siviglia, con quel 3-2 che ancora oggi fa male. A distanza di sei mesi, però, in casa nerazzurra è cambiato più o meno tutto. Anche il progetto tecnico di Conte. Il 21 febbraio 2021, con lo 0-3 nel Derby di Milano, l’Inter si è portata a +4 sul Milan secondo quando tutti si aspettavano un Colonia-bis in grado di consegnare un -2 a dir poco tragico. Nuova linfa che allontana, per ora, altri fantasmi autolesionistici. Ma cosa è cambiato?

COSA CAMBIA – Le novità da Colonia al derby non sono tante. Sono i dettagli curati diversamente a essere in quantità superiore. Il 3-5-2 dell’Inter è tornato a essere 3-5-2 senza perdere altro tempo con il finto trequartista (3-4-1-2). In difesa Milan Skriniar, dopo un anno e mezzo perso a lavorare da terzo di sinistra per poi finire in panchina, ha preso il posto di Diego Godin da terzo di destra e finora è il miglior difensore del pacchetto interista. A centrocampo Christian Eriksen, dopo un anno da trequartista panchinaro calcisticamente mobbizzato, si è preso i ruoli di mezzala sinistra e doppio regista, scalzando Roberto Gagliardini nelle gerarchie. Sulle fasce, grazie all’investimento su Achraf Hakimi a destra e al ritorno di Ivan Perisic a sinistra, gregari come Danilo D’Ambrosio e Ashley Young sono potuti tornare a scaldare la panchina. Queste quattro modifiche non hanno solo migliorato 4/11 dell’undici iniziale dell’Inter ma anche 3/5 della panchina di Conte. Con Aleksandar Kolarov, Matteo Darmian e Arturo Vidal (che farà di tutto per tornare titolare…) – al posto dei vari Cristiano Biraghi, Antonio Candreva e Borja Valero – che si aggiungono al “dodicesimo” Alexis Sanchez confermato. Certo, da Sebastiano Esposito ad Andrea Pinamonti non sembra essere cambiato nulla e forse un jolly come Victor Moses in più dalla panchina avrebbe fatto comodo, soprattutto vista l’indisponibilità di una variabile tattica come Stefano Sensi in mezzo. In attesa di recuperare completamente Matias Vecino, assente a Colonia come nel derby.

QUANTO E COME – Assodato che non è la rosa dell’Inter a essere migliorata né quella delle altre squadre a essere peggiorata, bisogna porre il focus sul cambiamento di Conte nell’approcciare al lavoro. Se fino a Colonia il tecnico dell’Inter ha lavorato in silenzio, spalleggiato da dirigenza e proprietà, nel tentativo di far overperformare ogni singolo giocatore in rosa, salvo poi esplodere pubblicamente dopo aver fallito gli obiettivi stagionali, dal post-Colonia in poi Conte si è presentato ai nastri di partenza consapevole di essere solo contro tutti. E la guerra è stata condotta fin dal primo giorno. Ci è voluto qualche mese, e qualche sconfitta pesante (addio Champions League…), per capire che questo approccio, seppur migliore, sarebbe stato ugualmente non vincente. A quel punto, anziché cercare lo scontro con dirigenti e proprietari, Conte ha creato uno scudo nell’ambiente tecnico di sua competenza e ha rimesso al centro l’obiettivo: (ri)portare l’Inter alla vittoria. Messo da parte l’orgoglio e ogni altro valore che stava limitando il suo lavoro, il tecnico interista ha ritrovato serenità e dato una nuova credibilità al suo progetto tecnico. Chi veniva etichettato come “esubero non funzionale” è tornato al centro del progetto, perché è giusto fare di necessità virtù. Una maturazione tardiva che, fosse arrivata sei mesi prima, forse avrebbe permesso all’Inter di vincere l’Europa League. Rimettere il calcio al centro del villaggio, anziché le polemiche interne, è stato lo step che ha fatto crescere Conte e tutta la sua Inter. Ancora è poco, non può bastare. Ma godersi la costruzione dal basso che coinvolge Skriniar, Hakimi, Eriksen e Perisic, anziché chiedere a Godin, D’Ambrosio, Gagliardini e Young di essere più concreti che belli, è un bel segnale della crescita interista. I risultati possono arrivare facendo correre veloce la palla, non grazie a calciatori che corrono ignorantemente dietro ad avversari e pallone. E se anche Romelu Lukaku capisce la lezione, mostrandosi decisivo come nel gol dello 0-3 nel derby – a differenza del blackout che ha portato al 3-2 di Colonia -, allora questa Inter ha davvero tutto per vincere. Ed è l’Inter di Conte, non di chi ne detiene le quote di maggioranza. Sei mesi dopo Colonia.

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