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Zaccheroni: “Ripresa? Non sono fiducioso. La mia migliore squadra…”

Alberto Zaccheroni, ex allenatore tra le altre di Inter e Milan, è stato l’ospite di oggi di “Casa Sky Sport”. Tanta attualità, ma anche tanti ricordi della sua carriera nell’intervento odierno

LA RIPRESA DEL CALCIO – Zaccheroni non appare ottimista sull’effettiva ripresa dei campionati di calcio attualmente sospeso: «Io non sono così fiducioso. Non perché sono pro o contro, non ho ancora capito se si ripartirà o meno. Vedo che perlomeno a parole c’è l’intenzione di far ripartire il movimento perché ci sono tanti movimenti da risolvere. Penso che tutti abbiano l’interesse a ripartire e questo è un dato di fatto. Ci sono aspetti economici importanti e ci sono dei criteri di meriti per l’assegnazione dei titoli. Sarebbe decisamente brutto per lo sport lasciare una casella vuota in questa stagione nei titoli. Ci sono in ballo interessi economici molto importanti e si cercherà di farla ripartire, ma il mio parere è che il rischio sia alto, si rischia di doverlo sospendere dovendo decidere oggi. Decidendo tra 20 giorni già le cose cambiano col rischio praticamente zero».

COME RIPRENDERE COL CALCIO – Zaccheroni vorrebbe vedere la ripresa del calcio, ma vede anche numerose criticità: «Io vorrei rivederlo, ma non pensiamo di rivederlo come l’abbiamo lasciato. La testa è andata altrove, il pensiero è rivolto alla salute. Abbiamo avuto diversi casi tra i giocatori e immagino che alcuni di loro saranno anche preoccupati che non accada a loro. In quel caso non è come un infortunio, in questo momento se c’è un positivo dobbiamo mandare tutta la squadra in quarantena e il campionato viene fermato. Questo è il grande rischio che la Federazione e la Lega vorrebbero evitare».

LA SVOLTA CON L’UDINESE – Zaccheroni ricorda la svolta del 3-4-3 in una partita alla guida dell’Udinese contro la Juventus: «La domenica precedente la Juventus aveva fatto 6 gol a Milano e se fosse andata male io sarei andato a casa. Abbiamo fatto una cosa che alle piccole non era mai accaduto. La settimana che precedeva una partita contro le grandi era una settimana di vacanza, arrivavano rilassati senza stress perché si dava per scontato di perdere. Non si poteva improvvisare, ci è voluto coraggio perché se fosse andata male avrei smesso di allenare. Era da molto che ci lavoravo. Io costruisco le squadre e decido come giocare cercando di evidenziare la qualità e mettendo al centro i giocatori migliori. In quell’anno mi sono trovato tre giocatori in attacco di grande talento e volevo farli coesistere. A quei tempi Zola giocava da seconda punta, così come Del Piero o Baggio, tutti giocavano col 4-4-2 ed era sparito il trequartista. Andare a proporlo all’Udinese era impossibile, Amoroso aveva un grande talento ma non era da quantità con le sue gambe sottili ed era leggero. Aveva il fiuto del gol L’obiettivo era mettere assieme Poggi, Amoroso e Bierhoff che non si possono allontanare dalla porta, l’unico sistema era farli giocare dalla metà campo in su. Non ho trovato al giorno d’oggi un sistema uguale a questo».

IL GIALLO DELLA MAGLIA – Una delle stelle di quella Udinese era Marcio Amoroso col quale ci fu, come racconta Zaccheroni, ci fu un giallo legato al numero di maglia: «Siamo partiti male perché mentre ero in vacanza fu presentato in piazza ad Udine con la maglia numero 10 che io avevo già dato a Stroppa. Chiamai Gino Pozzo e gli dissi che avevo visto la presentazione e mi dispiaceva perché non potevo togliere la maglia a Stroppa, ma mi ha risposto che gliel’avevano messa nel contratto. Quando andai a Udine chiesi a Causio di fargli capire che lui, che è stato un grandissimo giocatore, giocava col 7. Credo che il merito sia stato suo nel convincerlo. Non gli ho chiesto di essere meno brasiliano, ma più brasiliano, giocare da attaccante limitandogli i rientri profondi. Non aveva bisogno di ripiegare, dal mio punto di vista gli ho chiesto di metterci qualità e non preoccuparsi della quantità che allora, per una provinciale, avere tre attaccanti dalla metà campo in su non era usuale».

UNA CARRIERA DA SUBENTRATO – Zaccheroni ha avuto prevalentemente una carriera da traghettatore subentrato: «Non è una colpa mia, ma c’è molto di mio nel perché non sono mai partito dall’inizio. Io dopo il Milan non ho più allenato una squadra dall’inizio, ma è una scelta mia. Hanno cominciato a diventare più importanti gli agenti e io ho scelto di non avere un’agente. Sono stato chiamato direttamente da Galliani, da Moratti. E’ una scelta di essere indipendente. Gli agenti allora erano vietati, perlomeno in Italia. Da allenatore dilettante che è arrivato lì gradino per gradino ho fatto quella scelta. Sapevo perfettamente che comportava non partire dall’inizio. Tornassi indietro non modificherei una virgola. Per me è sempre stato importante allenare dove mi volevano, non dove volevo io».

LA SUA MIGLIORE SQUADRA – Zaccheroni ricorda la sua Udinese come la squadra migliore abbia mai allenato: «L’Udinese era uno spettacolo, un allenatore non lo dovrebbe dire, ma era una macchina perfetta. Le partitelle del giovedì, in periferia a Udine, e in quelle partite non c’è applicazione, ma i giocatori si arrabbiavano perché volevano aumentare l’imprevedibilità. Conoscevano a memoria quello che dovevano fare, sono stati bravi, anche se all’inizio è stata dura convincerli. Volevo far giocare quei tre attaccanti assieme e per mettergli 4 dietro bisogna giocare con la difesa a 3. Non condividevano e sono sceso a un compromesso, ho detto di giocare col 4-4-2 ma con 3 attaccanti quando andiamo in svantaggio. Abbiamo cominciato a farlo, andavamo sempre meglio e alla fine della partita quando andavo da loro mi dicevano che avevamo fatto meglio solo perché gli altri avevano mollato. C’era sempre merito degli altri. Poi è arrivata quella partita con un’espulsione e ho pensato fosse la carta da giocare, o la va o la spacca. Essendo molto preoccupati dal rischio di prendere 6 gol ci hanno provato ed è andata bene, la Juventus non se l’aspettava e questa è stata la nostra fortuna».

LO SCUDETTO AL MILAN – La carriera di Zaccheroni prese il volo con lo scudetto al Milan – «Mettevi nei panni di chi veniva da due decimi posti con Sacchi e Capello e gli arriva uno dall’Udinese che non ha mai giocato a calcio. Possibilità di far bene poche. Quella era una squadra di tanta qualità, ma con poca quantità. Quando io sono arrivato al Milan un bel po’ hanno smesso di giocare come Boban, Weah, Donadoni. Tantissima qualità ma purtroppo erano in fase calante e non riuscivano a giocare con grandissima continuità. Non erano in grado di giocare tanti minuti per partita e tante partite. Per sostenere questa qualità che era soprattutto offensiva bisognava convincere il gruppo. Andrai da Costacurta, Maldini e Albertini e dissi di voler giocare con tre attaccanti. Dovevo fare un turn-over e proposi loro la mia idea e loro a sorpresa mi dissero che se ero convinto dovevo dimostrarlo, mi dissero che se ci credevo mi sarebbero venuti dietro e così è successo».

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