Editoriali

Ibrahimovic: il passato all’Inter non deve alterare il futuro

Zlatan Ibrahimovic ha annunciato l’altro ieri il suo addio ai Los Angeles Galaxy e alla Major League Soccer statunitense. Due anni, cinquantotto partite, cinquantatré reti: questi i suoi numeri negli Stati Uniti. E ora quale sarà il futuro? Diverse squadre italiane sono state accostate al fuoriclasse svedese, tra cui l’Inter. Ma la nostalgia non è mai un ottimo criterio per le scelte di mercato.

ODI ET AMOZlatan Ibrahimovic è entrato sin da giovanissimo nell’empireo dei calciatori che polarizzano i sentimenti nei loro confronti. O lo ami, o lo odi. È stato chiaro sin dai primi anni 2000, quando Arsène Wenger lo chiamò per fargli fare un provino all’Arsenal: il francese si sentì rispondere che “Ibra (all’epoca non ancora ventenne, ndr) non fa provini”. È stato chiaro all’Ajax, pochi mesi dopo, quando si presentò nello spogliatoio dei lancieri con un sonoro “Io sono Zlatan, voi chi ca**o siete?” Amatissimo dai tifosi di ogni squadra per cui abbia giocato, odiatissimo nel momento stesso in cui decideva di cambiare maglia. Professionista e professionale fino all’ultimo minuto di gioco, salvo per i frequenti mal di pancia che il fidato agente Mino Raiola consigliava di curare tramite esosi rinnovi contrattuali. La sua classe in campo è (stata) sopraffina, e solo uno strano disallineamento dei pianeti ha impedito che Ibrahimovic potesse vincere una Champions League.

IL GENIO NERAZZURRO – Arrivato all’Inter schivando le ceneri di Calciopoli, Ibrahimovic in tre anni in nerazzurro ha sempre vinto, tanto, e segnato, tanto. Mero esercizio di stile ricordare trofei e fredde statistiche, meglio concentrarsi sui momenti che ancora oggi, dopo dieci anni esatti, rendono il suo trascorso all’Inter indimenticabile. Il primo è il suo terzo gol in assoluto con la maglia nerazzurra, in una delle due partite più sentite. In Milan-Inter 3-4 del 28 ottobre 2006, Ibrahimovic insacca lo 0-3 interista dopo un contropiede micidiale, a modo suo. Anticipo ad Alessandro Nesta con uno scavetto, e botta al volo che Dida non riesce a trattenere. Il secondo è quello di Inter-Sampdoria 3-0 del 26 settembre 2007. Riceve palla fuori area, si accentra in modo un po’ tentennante, poi all’improvviso il colpo di scena: sterzata secca a tagliare fuori tre blucerchiati, e botta di sinistro che vale la doppietta personale. Infine, impossibile non citare Parma-Inter 0-2 del 18 maggio 2008, una tragedia in tre atti conclusasi fortunatamente col lieto fine. Dopo i mesi più difficili della sua permanenza in nerazzurro, Ibra si alzò dalla panchina, e con due gol regalò il sedicesimo scudetto all’Inter. Ovviamente, sempre a modo suo, con due gol straordinari.

RESTIAMO AMICI – E di gol e altre prestazioni magnifiche per cui essere eternamente grati a Ibrahimovic se ne possono trovare fin troppi, da tifosi dell’Inter. Ciononostante, non bisogna lasciarsi ingannare dal bias della retrospettiva rosea, quell’errore cognitivo che altera la percezione del passato. Il ringhiante dominio tecnico che lo svedese ha dimostrato dal 2006 al 2009 con la maglia dell’Inter non è replicabile. Difficilmente Ibrahimovic riuscirebbe ad avere lo stesso impatto sul calcio italiano, a trentotto anni appena compiuti. Inoltre, è altamente improbabile che riesca a sposare i metodi e le esigenze di Antonio Conte. Inoltre, sia il tecnico sia Giuseppe Marotta hanno più volte ribadito di cercare un altro tipo di profilo, in cui l’esperienza si possa miscelare fluidamente con una certa dose di futuribilità. Quindi è giusto dare il doveroso tributo a Zlatan Ibrahimovic, mantenendo però la consapevolezza sul decennio che separa i tifosi da quei momenti bellissimi.

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