Editoriali

L’Inter e Conte hanno scelto il gruppo. Nessuno rimpianga Nainggolan

L’unità d’intenti fra Conte, Marotta e gli altri dirigenti dell’Inter ha escluso Nainggolan dal progetto tecnico. Una scelta che per ora è sembrata fruttifera da ambo le parti, ma che prescinde da qualunque discorso tecnico-tattico. 

SCATTI RUBATI – La storia tra l’Inter e Radja Nainggolan può essere paragonata a una di quelle macchinette fotografiche usa e getta. Ne hai estremo bisogno in quel preciso momento, in quell’istante. Sei colto dall’ispirazione e vorresti mettere a segno lo scatto della tua vita. Ti senti come un piccolo Robert Capa e compri quell’arnese sperando che non sfochi di troppo la tua idea originale. Scatti la foto e non vedi l’ora di sviluppare il rullino. La macchinetta ha fatto il suo dovere. Ti accorgi però che lo scatto non è poi così indimenticabile. In più, sei anche costretto a pagare le foto sfocate e malconce al momento dello sviluppo. A quel punto getti nel cestino anche quel piccolo ritaglio di celluloide che avrebbe dovuto immortalare la perfezione. È solo il ricordo sfocato di un’ispirazione rimasta vergine. Poteva essere, ma così non è stata.

LINEA ETICA – Fotografie a parte, la sensazione è che l’Inter abbia trovato una nuova identità grazie al lavoro estivo, sul campo e dietro la scrivania, di Antonio Conte e Giuseppe Marotta, che ha tenuto per mano Piero Ausilio e Steven Zhang. Tutto quello che c’era in mezzo è stato rimosso. L’asse comunicativo-progettuale tra dirigenza, calciatori e allenatore è stato spianato, edificato e reso inossidabile. Non ce ne voglia il buon Radja, che è uno di quei calciatori che sguazza nelle difficoltà e mette la testa (o la cresta, a seconda del momento) dove altri avrebbero paura di mettere il piede. Ma il buon Nainggolan è emblema di tutto quello che puntualmente si para come ostacolo tra campo e ufficio.

INGESTIBILE – Bisogna essere sinceri, la gestione del belga è un costante e pericoloso equivoco. Luciano Spalletti lo ha difeso e attaccato a modo suo, che era probabilmente il più adatto per farlo rendere al meglio. Ma nel momento in cui una determinata linea etica viene imposta dall’alto, anche la battaglia del tecnico di Certaldo è stata riposta nel cassetto. Sacrificata sull’altare di quel “qualcosa in più” che deve (e dovrebbe) riportare l’Inter dove merita. Una scelta etica, progettuale e coerente che fino a ora sta pagando i dividendi. Sia dall’una sia dall’altra parte. Al netto di sporadiche frecciatine da mettere in conto quando vengono firmati i documenti per la separazione.

MERITI – Il rimpianto Nainggolan, adesso, ha lo stesso valore del rimpianto Nicolò Zaniolo esattamente un anno fa. Lì probabilmente furono fatti errori di mancata lungimiranza e il J’accuse, alla politica di mercato “giovanicida”, saltò fuori ai primi sgarri del belga. Eppure, Nainggolan ha avuto il merito di respingere in porta una conclusione di Matias Vecino, sfortunatamente infrantasi contro il palo, riportando l’Inter nell’Olimpo dei grandi d’Europa all’ultima giornata contro l’Empoli. I nerazzurri sono tornati in Champions League anche per merito di chi ne aveva combinate di tutti i colori tra campo, spogliatoio e discoteche.

OMNIA VINCIT GRUPPO – Ma alla luce di ciò, l’Inter ha scelto di perseguire una linea fatta di sangue, lacrime e stridore di denti (si vedano anche gli addii di Mauro Icardi e Ivan Perisic per maggiori informazioni). L’arrivo di Marotta prima e di Conte poi ha imposto un cambio radicale di vedute, soprattutto nella gestione delle situazioni delicate a metà strada tra il rettangolo verde e le scrivanie dirigenziali. La scelta è stata fatta a prescindere dai risultati, anche se chiunque avrebbe covato aspettative ottimiste sull’impatto di un tecnico del genere. Da un punto di vista squisitamente tecnico, infatti, Conte ha dimostrato di saper incidere subito anche con materiale non di primissima qualità. Il tecnico leccese avrebbe potuto ragionare tranquillamente sul “Meglio un Vecino e un Gagliardini da far sgobbare che un Nainggolan da tenere al guinzaglio”. Ma l’Inter (e il plurale del club non è un caso), per una volta, ha spostato gli occhi dalla lavagnetta tattica e ha scelto da un’altra parte. Ha scelto esattamente a metà strada tra campo e ufficio. Ha scelto il gruppo, finalmente.

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