Editoriali

Con Lukaku e Ibrahimovic, il calcio italiano ha un’occasione importante

Il derby si sta portando dietro una serie infinita di polemiche, legate allo scontro verbale e fisico tra Lukaku e Ibrahimovic. Il dibattito ha diviso gli schieramenti e molti stanno cercando di disinnescare la questione. La vicenda, tuttavia, rappresenta un’occasione unica per chi dovrà decidere in merito

POSTUMI – Sono passate circa 46 ore dal momento esatto in cui Christian Eriksen ha centrato l’angolino alla destra di Ciprian Tatarusanu, piegando la sua stagione verso un finale auspicabilmente diverso. È trascorso qualche minuto in più, invece, dallo scontro verbale e fisico tra Zlatan Ibrahimovic e Romelu Lukaku, che ha fatto concorrenza al goal del danese tra i trend topic di una serata particolare.

LA RISSA – La ricostruzione degli eventi è ormai nota, potete trovarla sul nostro sito in maniera dettagliata (vedi articolo). Ma forse meglio ripercorrerne rapidamente i tratti salienti. Tutto comincia al 44’ del primo tempo. Lukaku si trova poco fuori dall’area di rigore del Milan. Sta cercando di crearsi uno spazio, ma viene buttato giù con una spallata da Alessio Romagnoli, dopo una prima carica andata a vuoto di Franck Kessié. Il belga reagisce male a quell’intervento e accenna uno scatto contro il capitano rossonero. A quel punto, la tensione monta e, inspiegabilmente, il focus si sposta su Ibrahimovic, che aveva incrociato lo sguardo di Lukaku e cominciato a provocarlo con espressioni complesse da capire, ma poi inevitabilmente chiare. In mezzo i presunti riti vudù della madre di Lukaku, che si arrabbia e risponde a tono.

STRATEGIA – Non è ancora chiaro il modo in cui il focus dell’azione si sia spostato da Romagnoli vs Lukaku a Lukaku vs Ibrahimovic, né quanto la strategia dello svedese fosse pianificata e attesa per un momento simile. Di certo, però, l’ex Malmö ha dato prova di conoscere a menadito il background culturale e personale di Lukaku, cosa che ha anche dato la possibilità, ai media, di deviare il discorso, utilizzando il MacGuffin delle vecchie ruggini tra coatti. Ma le telecamere e lo stadio vuoto hanno consentito di vivisezionare i termini di quello scontro verbale, definirli, estrapolarli e persino fraintenderli. Portando gli eventi, per forza di cose, dal pattume della rissa personale alla dimensione pubblica in cui devono essere calati.

TRASH TALKING – Peraltro, Ibrahimovic non è nuovo alla provocazione, come si è visto nello scambio con Duván Zapata di qualche giorno fa. Per qualcuno, però, la strategia dello svedese rappresenta un’attenuante impenetrabile, che lo esonera da qualunque accusa di razzismo, proprio per il fatto che l’ex Psg fosse mosso da un intento totalmente diverso, finalizzato solo al risultato del campo (provocare Lukaku), e dunque non primariamente discriminatorio. Ibrahimovic voleva provocare, dunque, e l’ha fatto toccando un nervo scoperto per Lukaku, che fa riferimento ad un evento specifico della carriera del belga. Ma il fatto che lo svedese abbia scelto un’impalcatura tematica così sensibile (non per tutti, a vedere le reazioni dei media), in modo tanto esplicito e consapevole, ci esula dal poterlo considerare “ingenuo” trash talking.

PROVOCAZIONE – Come scrive Dario Saltari su Ultimo Uomo, Ibrahimovic scomoda il vudù (e il background personale del belga) per provocare Lukaku, utilizzandolo strumentalmente come fosse qualcosa di alieno, esotico e dunque deprecabile. Ma proprio per questo, aggiungeremmo, discriminatorio. Lo svedese se ne serve per mettere in piedi la sua arringa, in uno stadio vuoto. Non ne rivendica la paternità razziale solo perché il suo fine è un altro (la vittoria, per mezzo della provocazione, ad ogni costo). Ma il fatto che lo faccia in quel modo non lo discolpa, anzi. Con quell’impalcatura verbale, Ibrahimovic fuga apparentemente il dubbio sulla sua eventuale (in)consapevolezza. Questo è certificato dal messaggio successivo sui social, dove Ibra sembra ribadire quel tipo di strategia, più per evitare problemi, ovviamente ripudiando qualsiasi accusa di carattere discriminatorio, che però torna a galla nel momento in cui sceglie consapevolmente l’argomento con cui provocare.

SCHIERAMENTI – Diversi opinionisti hanno difeso e compreso la posizione di Ibrahimovic, “crogiolo di etnie”, dimenticando forse quanto il razzismo sia connaturato, purtroppo, anche a chi lo subisce, e quanto (per questo motivo) Ibra abbia ritenuto opportuno toccare proprio quei temi per ottenere uno specifico risultato, facendolo con un’impalcatura retorica che è figlia dei secoli, e del radicamento implicito della discriminazione verbale, che rende incapaci di riconoscerla anche quando si para davanti.

MIRATO – Quello di Ibra non è puro trash talking nel momento in cui tocca tematiche specifiche e studiate. Altre parole non avrebbero avuto l’effetto sperato, come argomento d’attacco. Ibrahimovic avrebbe potuto cambiare l’impalcatura della sua arringa, ma l’episodio del vudù, mai confermato da Lukaku, calzava a pennello per far arrabbiare il belga. E il fatto che quella rissa si sia svolta in una dimensione pubblica non fa altro che amplificarne i caratteri centrali, regalando alla giustizia sportiva un assist unico per applicare il suo regolamento, come accaduto tempo fa con la FA ed Edinson Cavani, suscitando non poche polemiche. Persino il fatto che tutto sia stato derubricato come una banale “rissa da strada” non ha fatto altro che smussarne i connotati, sottesi e amplificati dalle telecamere e dal contesto di pubblico dominio. Come se anche la rissa fosse da considerare qualcosa di alieno, rispetto a ciò che accade realmente nella nostra società, e non la parte peggiore della società stessa.

OPPORTUNITÀ – Se Lukaku e Ibrahimovic si fossero picchiati e offesi per strada sarebbe stato certamente diverso: avremmo avuto il potere di disinnescare agilmente la cosa. Ma per fortuna non è stato così, e questo rappresenta una grande occasione per chi dovrà accertare le responsabilità degli eventi, facendoci rendere conto del peggio che siamo disposti ad esprimere pur di raggiungere un risultato, e di quanto siamo disposti a tollerarlo, purché non si tocchi la nostra famiglia, il nostro microcosmo, e i nostri feticismi tribali.

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