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Simone Inzaghi è l’allenatore perfetto per l’Inter 3.0 di Marotta (post-Conte)

Simone Inzaghi è il nuovo allenatore dell’Inter da meno di 24 ore e già abbiamo la prima certezza: la scelta di Marotta è giusta. Le motivazioni possono sembrare banali, ma dopo lo Scudetto post-Conte non si può trascurare il minimo dettaglio. Il progetto nerazzurro deve ripartire con basi solide e il profilo del tecnico in panchina non poteva essere più adatto, oggi

Simone Inzaghi all’Inter: la scelta di Marotta

UOMO MAROTTIANO – La perfezione non esiste e fin qui siamo tutti d’accordo. Ma bisogna vedere la positività in qualcosa per accettare i cambiamenti e superare le difficoltà. Oggi il bicchiere mezzo pieno dell’Inter si chiama Simone Inzaghi, che ha abbandonato la comfort zone chiamata Lazio per fare un balzo in avanti in carriera. Non un passo, non uno step. Quello di Inzaghi è un balzo senza possibilità di ritorno indietro. A 45 anni lasciare Roma per Milano, dopo 22 anni trascorsi in biancoceleste, è sinonimo di crescita. Inzaghi arrivando ad Appiano Gentile ieri (3 giugno, ndr) è diventato adulto, dopo praticamente metà vita vissuta all’ombra di Formello. Il sogno interista ancora deve colorarsi di nerazzurro ma l’Inter può già essere considerato un meritato punto di arrivo per il classe ’76 piacentino. Ora è tutto nelle sue mani. O quasi. Può avere successo, può fallire. Di sicuro non farà mancare professionalità all’impegno preso con Beppe Marotta, che continua a essere l’unico motivo di fiducia in casa Inter. Se Marotta ha scelto Inzaghi per la sua Inter 3.0, non ci sono dubbi che la scelta sia giusta. Perfetta, appunto. È l’uomo di Marotta.

L’Inter pre-Marotta: dal caos totale a Spalletti

INTER 1.0 – Per arrivare a questo punto della storia – calcistica e non – l’Inter ne ha dovute superare tante. Troppe. L’inizio dell’avventura marottiana a Milano coincide con l’esonero virtuale di Luciano Spalletti, uomo incaricato di rimettere a posto la situazione dopo una serie di fallimenti sportivo-strategici, iniziati con l’addio di José Mourinho nel 2010. Prima di Spalletti hanno fallito, per diversi motivi, dieci allenatori in meno di dieci anni: l’internazionale Rafa Benitez, l’improvvisato Leonardo, l’ambizioso Gian Piero Gasperini, l’esperto Claudio Ranieri, il giovane Andrea Stramaccioni, l’integralista Walter Mazzarri, l’ex Roberto Mancini, il filosofico Frank de Boer, l’interista Stefano Pioli e il promosso Stefano Vecchi (ad interim). Spalletti è arrivato, non scelto da Marotta ma a cui l’attuale AD Sport ha dato fiducia per completare l’opera, prima di far iniziare il progetto vincente. A Spalletti è stato chiesto di riportare l’Inter in Champions League, quindi il cosiddetto obiettivo “quarto posto” in Serie A, senza dover vincere. Nessun trofeo, solo metodo e pulizia nello spogliatoio. Tralasciamo i dettagli. Obiettivi stra-raggiunti, poi l’esonero con stipendio pagato fino all’ultimo giorno per altri due anni. Altri tempi.

L’Inter pre-Simone Inzaghi: da Spalletti a Conte

INTER 2.0 – Quando Marotta ha deciso di sollevare dall’incarico Spalletti, la motivazione aveva un nome e un cognome: Antonio Conte, già pre-allertato. Il progetto triennale messo a punto prevedeva la vittoria solo alla fine del ciclo. E invece, pur avendolo interrotto fisiologicamente dopo due (vedi editoriale), il trofeo è arrivato addirittura in anticipo. Lo Scudetto vinto da Conte con l’Inter non era nei piani reali del Club. A Conte è stato chiesto di riportare l’Inter oltre la Champions in sé. Dando per obbligato l’obiettivo qualificazione, gli si chiedeva di superare il girone. Obiettivo fallito due volte su due. Ma Marotta sapeva che, scegliendo Conte, avrebbe fatto saltare uno step alla sua Inter, che è stata “risarcita” con il tricolore. Il passaggio da Spalletti a Conte prevedeva l’inizio di un ciclo vincente, che non è partito – come ipotizzato – dalla Coppa Italia e dalla Supercoppa Italiana (primo obiettivo di Inzaghi, ndr). Conte ha puntato dritto allo Scudetto ed è arrivato. Non può essere considerato un fallimento la sconfitta in finale di Europa League, soprattutto in piena pandemia, ma è emblematica. L’Inter post-Spalletti, affamata di vittorie pur senza la richiesta da parte della proprietà, fa parlare se non vince. Conte ha portato l’Inter in un’altra dimensione, impensabile rimpiazzarlo con “il primo che passa” ora.

L’Inter post-Conte: inizia l’era Simone Inzaghi

INTER 3.0 – Superato lo scossone derivato dall’addio di Conte, è facile intuire perché Simone Inzaghi sia esattamente ciò che serve all’Inter oggi. Obiettivo vittoria? No. Per quanto Marotta possa parlare del sogno seconda stella, al neo tecnico non viene chiesto di bissare il trionfo in campionato. Arrivasse un altro scudetto sarebbe un’altra sorpresa positiva, ma per questo c’è tempo. Quarto posto? Sì. E non solo. L’Inter a Inzaghi chiede di fare meglio del suo predecessore in campo internazionale. Prendere l’Inter in prima fascia e spingerla almeno fino ai gironi di Champions. Magari anche più avanti. Obiettivo esclusivamente economico, i margini di vittoria oggi non ci sono. L’Inter punta a tornare nella Top 10 europea sia a livello di fatturato sia di organico, ma sa bene che oggi è fuori. Pur avendo vinto l’ultimo scudetto con Conte, l’Inter in Italia dovrà ripartire gerarchicamente dietro la Juventus di Massimiliano Allegri, nuovamente favorita per il tricolore. E subito avversaria diretta in Supercoppa Italiana, che giocandosi in 90′ può essere un obiettivo alla portata della nuova Inter di Inzaghi. Così come la Coppa Italia. O chissà, l’Europa League se dovesse fallire l’obiettivo principale con annessa retrocessione nella seconda competizione UEFA. Perché l’Inter oggi riparte più o meno dal 2018 ma con il tricolore cucito sul petto e con Inzaghi che eredita lo straordinario lavoro di Conte, dopo Spalletti. Non è un salto all’indietro ma l’umile consapevolezza che non bisogna più (ri)costruire ma consolidare. Per le pianificazioni a lungo respiro ci sarà più tempo. Simone Inzaghi ha firmato un biennale, Marotta gli ha affidato la sua Inter 3.0 dopo l’addio di Conte, con tutti i pro e i contro del caso: comunque vada, avrà meno pressioni del suo ingombrante predecessore. E questo basta per far sì che sia l’uomo perfetto per l’Inter, che mai come oggi è dipendente da(l solo) Marotta.

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