Editoriali

Ibrahimovic, lettera di un tifoso dell’Inter. Odi et amo, fino a dimenticarlo

L’ho visto onnipotente, l’ho visto scagliarsi contro la curva nerazzurra e ho visto comparire i primi sintomi dell’allergia alla Champions League. Ho venerato Zlatan Ibrahimovic come un idolo, durante la sua esperienza all’Inter. Ho provato a odiarlo come un acerrimo rivale. Ma alla fine sono stato costrettto a dimenticarmi di lui. 

IL MIGLIORE – Da ragazzino veneravo la strafottenza di Zlatan Ibrahimovic. Veniva dal nord, aveva fatto male all’Italia con un tacco volante nel 2004 e aveva giocato nella Juventus. I crismi per odiarlo c’erano tutti, ma proprio per questo l’ho sempre considerato irraggiungibile. Inimitabile, prepotente, esaltante. In un’Inter che spadroneggiava, Ibrahimovic si muoveva a meraviglia. Ho sempre percepito lo svedese come un personaggio inafferrabile. Era il migliore, doveva essere il migliore, volevo anch’io che fosse sempre il migliore. Vestiva la maglia numero ‘8’, distinguendosi anche dalla banalità del ‘9’ e del ’10’. Doveva essere il migliore e doveva esserlo anche in nerazzurro. Lo fece a modo suo, in un pomeriggio piovoso del maggio 2008. Sullo stadio ‘Ennio Tardini’ di Parma si era scatenato l’Apocalisse. Zlatan veniva da un lungo infortunio e l’Inter di Roberto Mancini stava mettendo a repentaglio la vittoria di quello scudetto. Il Parma aveva bisogno del risultato per non retrocedere e capitan Stefano Morrone sembrava avere un conto aperto coi nerazzurri. Quella vittoria serviva anche all’Inter, la Roma incalzava e il diluvio non prometteva nulla di buono.

DECISIVO – Lo svedese si alza dalla panchina attorno al minuto 50. Osservo quelle immagini come fossero ancora nitide: si annoda l’elastico dei calzoncini e sostituisce Cesar. In quel momento pensavo già che ce l’avremmo fatta, e che sarebbe entrato in condizioni precarie proprio per salvarci da una figuraccia. Il diluvio imperversava, Zlatan pure. Si costruisce l’opportunità di calciare verso la porta dal limite, tra fango e pozzanghere d’erba. Conclusione in buca d’angolo: l’Inter è in vantaggio. Il secondo gol arriva su cross delizioso di Maicon, che nel frattempo aveva drenato come al solito la propria fascia di competenza. Piatto sinistro dell’ex Juventus: 0-2 e apoteosi.

CONTRADDITTORIO – Non nascondo di aver idolatrato Zlatan Ibrahimovic. Amavo le sue movenze prepotenti, col fisico statuario che lo costringeva a esprimersi ogni volta al limite del fallo. Non scorderò mai il gol al volo, di tacco, contro il Bologna su assist di Adriano. Non scorderò mai il gestaccio alla curva dopo la rete casalinga alla Lazio: lì mi fece capire di essere fin troppo umano. Non credo che scorderò mai la punizione terra-aria del ‘Renzo Barbera’ contro il Palermo. Non mi aspettavo che restasse in nerazzurro per sempre, non credevo che ne fosse capace e d’altronde sarebbe stato piuttosto banale per un personaggio come lui. Non sapevo, però, che avrei finito addirittura per ringraziarlo, accogliendo e idolatrando un nuovo eroe della mia allora breve memoria nerazzurra: Samuel Eto’o. Si può amare allo stesso modo due personaggi così antitetici?

ZLATAN CHI? – Io credo di no ed è questo il motivo per cui ho cercato di dimenticare lo Zlatan nerazzurro, dopo averlo fortemente odiato nel suo passaggio in rossonero. Volevo dimenticare il pallonetto al povero Doni nello 0-4 dell’Olimpico. Ho scelto di dimenticare tutte quelle immagini, per scordarmi dell’uomo. Ora, quando lo vedo, percepisco la stessa sensazione di distanza, mista ad ammirazione, che mi suscitavano le sue giocate del periodo nerazzurro. Ho dimenticato che Zlatan ha una quota di responsabilità, seppur involontaria, nel trionfo di José Mourinho e nella costruzione delle fondamenta del Triplete. Ho dimenticato che Zlatan e l’Inter sono legati a doppio filo e lo saranno probabilmente per sempre. Ho ripreso a guardarlo come prima di innamorarmi del pallone, grazie a lui. Mi ha costretto ad amare uno stile di gioco inarrivabile, fatto di istinto e strafottenza allo stato liquido. Ho iniziato a pensare che alla lunga avrebbe divorato se stesso, nascondendo lacune voraci dietro quell’egocentrismo apparente. Ma a quel punto ho anche compreso quanto fosse facile guardarlo con distacco. Ed è quello che farò ancora, per altri 90 minuti, tra qualche ora, in Inter-Milan. Il destino si è divertito a scherzare nuovamente con un passato che, da tifoso dell’Inter, volevo sforzarmi di cancellare. Perché Zlatan non può essere attraversato, e dunque, meglio dimenticare che sia mai esistito e che abbia avuto la forza di farmi innamorare di lui.

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