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Zanetti: “Messi-Inter? Nessun approccio. Triplete? Affamati anche dopo”

Seconda parte dell’intervista ad Javier Zanetti, storico capitano dell’Inter del Triplete e oggi vicepresidente nerazzurro. La prima potete trovarla QUI

NELLA STORIA – È difficile scovare il segreto di una squadra così compatta. L’Inter del Triplete, di cui Javier Zanetti era capitano, è sinonimo di riscatto per tanti, di gloria eterna per coloro che non hanno mai smesso di crederci: «Il segreto era non dare nulla per scontato. Ci facemmo un discorso, nello spogliatoio: “Se perderemo, sarà solo perché gli altri avranno dimostrato di essere più forti”. Ma nessuno di noi si sentiva meno forte di un qualsiasi avversario, in quel periodo. Fallire un traguardo? No. Se inizi a pensare così, sei finito. Ragionavo al contrario, dovevo farlo: vinco tutto. E infatti ho vinto tutto. È proprio quello che ci aveva inculcato nella testa José Mourinho. Aveva un potere magico, differente da qualsiasi altro tecnico: davanti a lui, ti convincevi che avresti potuto sfidare il mondo. E che per lui l’avresti fatto. José ti entra dentro, non ti molla più. Lo faceva con tutti, prima di ogni singola partita, che si trattasse di Milito o Mariga era lo stesso. In allenamento si respirava un’aria particolare, tutti volevano rendersi disponibili, tutti andavano a mille. Paura di farsi male e saltare il finale di stagione? Mah, io e Walter Samuel abbiamo fatto mezza Champions League da diffidati, pensi cosa mi sarei perso se avessi preso un giallo a Barcellona».

UOMINI – C’è un curioso aneddoto anche sulla visita di Zanetti a Massimo Moratti, presidente dell’Inter ai tempi, per discutere i premi vittoria: «Andai io, da capitano, dopo aver parlato con i miei compagni. Finii in ufficio dal presidente quasi per “dovere”, per noi in quel momento quel che contava era la voglia di gloria. Ma tanto poi, si sa, con Moratti non c’era problema. E infatti accadeva sempre che ci mettevamo a parlare di calcio».

CARATTERE – Si parla di calcio, ma la semifinale del Camp Nou ha valicato i confini dell’umano e dello sport: «Il piano partita saltò dopo il rosso di Thiago Motta. Fu resistenza allo stato puro. All’intervallo Mourinho quasi non parlò. Ci disse solo: “Ragazzi, a rischiare qui sono solo loro”. Il gesto di Mario Balotelli nella partita d’andata? Da capitano ero soprattutto deluso, ancor più che arrabbiato. Mario non si rese conto, quello è un gesto che non va mai fatto, figurarsi in una serata simile. Dopo la partita gli dissi: “Mario, questo gruppo va avanti comunque, con o senza di te. Se hai voglia di risalire sul treno, noi siamo qui”. Ma già due ore dopo aveva capito».

TENSIONE? MAI – La vigilia della finale di Champions a Madrid non dev’essere stata tranquilla neppure per uno tutto d’un pezzo come Zanetti: «Non ho mai sofferto una vigilia di un match in vita mia, ho sempre riposato alla grande. Ma quella notte non la dimentico: ero in camera con Ivan Cordoba, siamo entrambi devoti a Santa Rita, che si festeggia il 22 maggio. Aspettammo mezzanotte, ci guardammo, accendemmo insieme una candela e ci mettemmo a pregare. Meno male che non prese fuoco l’hotel!».

SEGNALI – Cosa disse Mourinho il giorno della finale? Zanetti lo ricorda come fosse ieri: «Mourinho ci ricordò il progetto iniziale. E ci disse che eravamo a un passo dal fare la storia. Fu un discorso emozionante. Fu così convincente che entrammo in campo con una concentrazione pazzesca. Me ne accorgo quando rivedo la foto in cui alzo la Coppa. Quello non sono io. Quello non è Zanetti, non è la mia faccia, quel visovaal di là della felicità. Era una vita che mi passava davanti, in pochi istanti ripensai a tutto, a me bambino in Argentina. Quella sera, proprio quella sera, facevo 700 partite con l’Inter. In una finale di Champions, al Bernabeu: insomma, tutto scritto, tutto perfetto».

POSTUMI – Sarebbe stato il momento ideale per un addio, a quell’età, e da vincitore per Zanetti: «No, mai. Avevo ancora voglia, poi l’ho dimostrato no?. Addio all’Inter da parte di Mourinho? Avevo intuito qualcosa, come me pure molti miei compagni. Ma c’era pudore ad affrontare l’argomento. Anzi, paura più che pudore. Paura che questa cosa potesse farci male, potesse privarci del sogno per cui stavamo lottando. Ricordo che dopo la partita, in campo, io e Mou ci abbracciammo forte. E ci dicemmo solo una parola, la stessa: “Grazie”».

FUORICLASSE – È difficile mettere nel cassetto tutti questi ricordi. Ed è ancor più difficile rapportarli col presente. Un presente in cui Zanetti è finito dietro la scrivania, studiando e plasmando l’Inter del presente e del futuro. Tra acquisti e trofei, si finisce anche per parlare di Lionel Messi: «Ho grandissimo rispetto per Leo. Potrei dire qui che gli ho parlato, per fare bella figura. Ma la verità è che non ho mai affrontato l’argomento con lui, non c’è mai stata la minima possibilità. E credo peraltro che lui stia molto bene a Barcellona».

SIMBIOSI – Giusto una breve puntatina nel presente dell’Inter. Poi si torna subito in quel magico passato a tinte nerazzurre. I ricordi di Zanetti non sono neppure scalfiti dal tempo: Torniamo alla notte magica.«Ero in diretta a Sky, mi intervistavano dopo la partita di Madrid. Facevano vedere le immagini del Duomo, mi pareva incredibile tutta quella gente, mi veniva da piangere. Arrivammo all’aeroporto di Malpensa, c’erano tifosi anche lì. A un certo punto cidissero: “Oh ragazzi, andiamo a San Siro, vi stanno aspettando”. Pensavo fosseuno scherzo, invece fu impressionante. Un oggetto che conservo? La maglia, non l’ho data a nessuno. E la fascia, con la scritta delle 700 partite».

INDIMENTICABILI – Quell’Inter rappresenta un’icona della storia del calcio, che Zanetti ha vissuto in prima persona: «La sera stessa della finale mi si avvicinò Rummenigge. Mi disse: “Siete troppo forti, non datemai la sensazione di poter mollare”. Era proprio così. E poi fu carino anche Gabi Milito, fratello di Diego, che giocava nel Barcellona. Rinnovare quella squadra dopo il Triplete? Era troppo difficile farlo, in quel momento, complicato modificare quel gruppo. E comunque la stagione dopo, nonostante un cambio di allenatore, arrivammo secondi in campionato e vincemmo la Coppa Italia. Quell’Inter aveva ancora fame. Solo successivamente il calo fu fisiologico. Ogni tanto mi fermo e mi metto a pensare, mi rendo conto con il passare del tempo della grandezza delle nostre imprese. In questi giorni ho rivisto mille volte le partite di quella stagione con i miei figli… Wow, cosa abbiamo combinato!».

Fonte: SportWeek

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