Mondo Inter

Milito: “Triplete Inter per Moratti! Come un padre per me. Zanetti speciale”

“SportWeek” dedica la copertina di questa settimana al Triplete dell’Inter. Un paio di interviste a quegli eroi: Javier Zanetti e Diego Milito. Col “Principe” si parla ovviamente di quell’annata, ma anche delle necessarie premesse, del rapporto con Moratti e non solo

ICONA – Dal 5 al 22 maggio 2010 Diego Milito, già allora Principe ma non ancora Re, segnò quattro gol che cambiarono per sempre la storia sua e dell’Inter. Nell’ordine: uno nella finale di Coppa Italia contro la Roma, uno a Siena nell’ultima partita di campionato, due nella finale di Champions League contro il Bayern Monaco, a Madrid. Quattro gol e tutti decisivi per la conquista del Triplete nerazzurro. Dieci anni dopo Milito è diventato direttore sportivo di quel Racing di Avellaneda da cui partì la sua avventura calcistica Arriva all’Inter nell’estate del 2009, dal Genoa: «Avevo 30 anni. Per età ed esperienza accumulata, prima in Spagna e poi in Italia, mi consideravo maturo come calciatore e pronto al salto di qualità. All’Inter portavo in dote 24gol in 31 partite di campionato col Genoa, al mio esordio in A; 53 segnati nella Liga, nei tre anni precedenti al Real Saragozza. Il periodo in Spagnamiaveva fatto bene: avevo assaggiato il calcio europeo, mi ero confrontato con grandi squadre e grandi giocatori. La stagione al Genoa, poi, è stata fondamentale per capire la Serie A».

THROW BACK – Il 29 giugno 2009 Milito è ufficialmente un calciatore dell’Inter: «Il giorno non lo ricordo, posso dire che Milano la conoscevo bene perché ci andavo spesso a trovare i miei connazionali che sarebbero diventati compagni di squadra e che erano già amici: Zanetti, Cambiasso, Samuel. Quell’estate, prima di tornare in Argentina per le vacanze, mi fermai in città per cercare casa, così da guadagnare tempo e concentrarmi poi solo sul calcio. Vengo a Milano con tutta la famiglia: mia moglie Ana Sofia, il mio primo figlio Leandro, che all’epoca aveva 2 anni, i miei genitori. A guidare la macchina è papà Jorge. Ricordo che feci le visite mediche a Pavia il giorno della finale di Champions tra Barcellona e Manchester United. Non facemmo in tempo a guardare la partita, ma la ascoltammo alla radio mentre tornavamo verso Genova. Dissi a mio padre che ero felice al pensiero che, da lì a qualche mese, pure io avrei fatto la Champions. Però, in quel momento, neanche immaginavo che sarei arrivato in finale, eche l’avrei decisa proprio io».

IMPATTO – Il primo incontro con l’Inter è istituzionale. A Milito vengono fatti tutti gli onori di casa: «C’era tutto lo Stato maggiore dirigenziale: il presidente Massimo Moratti, Marco Branca, Lele Oriali. Moratti mi strinse la mano e, con un gran sorriso, disse soltanto: “Benvenuto”. Nei miei cinque anni all’Inter lui si è comportato come un padre. Nei confronti di tutti,non solo miei. Per questo dico sempre che la mia gioia più grande, la sera di Madrid, vinta la Coppa dei Campioni, è stata vedere nei suoi occhi la felicità».

CONDOTTIERO – E il primo incontro con José Mourinho? Anche quello Milito lo ricorda piuttosto bene: «Mi aveva già chiamato al telefono per raccontarmi il gruppo, i suoi sistemi di lavoro. Poi mi chiese se volessi il numero 22 sulla maglia. Era quello che avevo indossato al Genoa.Gli risposi:“ Mister, se è libero lo prendo volentieri…”. Disse: “Veramente è di Orlandoni, il terzo portiere. Ma stai tranquillo, gli parlo io”. Grande Orlandoni, è stato fondamentale nelle nostre vittorie: spirito sempre positivo, teneva su il gruppo».

GARRA – C’era una forte anima argentina in quella Inter. Il suo capitano, Javier Zanetti, ha raccontato il Triplete in mille salse (QUI e QUI). Milito non dimentica il legame con lui e gli altri argentini: «Zanetti straordinario. Esempio di attaccamento al lavoro e alla maglia. Mi rispecchiavo in lui, parlavamo di tutto. Un vero capitano. Ricordo il viaggio di ritorno in treno dopo Fiorentina- Inter 2-2. Kroldrup, un difensore, ci aveva fatto gol quasi alla fine e la Roma ci aveva sorpassato in classifica. Zanetti passava tra noi, che stavamo seduti mogi a testa bassa, ed era carico a mille: “Vinceremolo scudetto!”, ripeteva. “Capito? Lo vinciamo noi!”. E poi il Roma-Samp visto a casa mia. Se la Roma avesse vinto avrebbe avuto il titolo in tasca. La guardammo seduti sul divano, io quasi sdraiato con Agustina, nata da un mese, stesa sul petto. Segna la Samp, passa mia moglie: “Vuoi dare la bambina un po’ a me?”. “No, lasciala qui”. L’ho tenuta tutta la partita».

Fonte: SportWeek

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