Beccalossi spiega: «San Siro ti dà il 30%, se non lo senti non sei da Inter!»
Evaristo Beccalossi, in occasione della presentazione del suo libro ‘Una vita da numero 10’ a Milano, parla del suo esordio e della sua separazione con l’Inter. Poi un pensiero sull’atmosfera di San Siro e sulla sfida alla Juventus.
PASSATO – Evaristo Beccalossi ripercorre alcuni momenti della sua carriera con in dosso la maglia dell’Inter: «Arrivo a Milano, guardo il mio nome e cognome e guardo chi era passato prima. Ci sono state persone che mi han preso subito in simpatia ma erano dei macigni quindi a livello psicologico ero già in difficoltà. Mi hanno accolto subito bene per un motivo. In quel momento si usava andare a far torni in giro, mi han portato a fare un triangolare e ho fatto gol subito. Poi si rientrava a fine agosto dai ritiri triangolari e c’era la presentazione a San Siro. Lì feci due gol e ebbi subito la sensazione di essere accettato e seguito con curiosità. Quello mi ha dato ancora più spinta perché pensavo che dietro avevo i macigni col numero 10, ero partito bene. La gente di San Siro poi ti dà il 30% in più. Se uno non riesce a dare quel 30% in più a San Siro significa che non è da Inter. Avevo dei compagni che parlavano di paura. Ma ti dava una carica e un’emozione che a me ha fatto bene. Io ho provato ad andare anche in altre piazze, dove stavo bene come a Genoa. Ma il pathos non c’era. San Siro lo vivi a mille all’ora. Io mi sono ritagliato un piccolo spazio nella storia dell’Inter che è indimenticabile».
Beccalossi, dalla sfida alla Juventus al rocambolesco finale con l’Inter
SFIDA E FINALE – Evaristo Beccalossi continua: «C’era qualcuno che mi mancava per bloccarmi? No perché era tutto preparato e quando arrivavo lo sapevo già. Mi mettevano l’uomo addosso. All’epoca la Juventus era l’avversario sportivo. Parlo a livello sportivo perché qualche permaloso c’è ancora che mi dice che ce l’avevo con la Juventus. A ventidue anni arrivi dal paesello, giochi contro la Juventus, che ha otto Nazionali. Io mi esaltavo, a San Siro poi. Contro di loro sentivo tutta la gente che mi appoggiava e io l’andavo a cercare. Io non ero capace di picchiare ma loro a far male sì. Io l’unica cosa che avevo era il mio gioco, quindi era una sfida. Sono riuscito a fare 7 anni grandissimi da tanti punti di vista. Poi chiaro che il rapporto con l’Inter non si è chiuso bene perché sono stato costretto ad andare via quando ero nel pieno della maturità calcistica. Se fossi stato maturo come uomo avrei fatto qualche tangenziale in quel periodo. Perché andar via per delle considerazioni calcistiche è un conto, andar via per altre cose che col calcio non c’entrano niente, con l’esperienza è diventato ancora più pesante. Infatti è l’unica parentesi. MI è stato detto “devi andar via” a ventotto anni, nel pieno della carriera. Avrò avuto sicuramente delle razioni sbagliate. Quello è l’unico rammarico con dei testimoni che mi hanno detto “Sei a posto, rimani” e dopo un mese mi hanno fatto andar via. ».