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Marotta: “Vorrei un calcio libero, oggi troppi procuratori improvvisati…”

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L’amministratore delegato dell’Inter Giuseppe Marotta ha concesso una lunga intervista a Sportweek, il settimanale della Gazzetta dello Sport. Dopo l’anteprima (qui la notizia) vi proponiamo la trascrizione integrale delle parole del dirigente nerazzurro in cui si è concentrato sulla sua carriera,ma con un occhio anche al presente e alle sue idee per riformare il calcio

Marotta, partiamo dall’inizio- “Prima volta al mercato nel 1977 e l’anno successivo, nel 1978, l’arrivo dei carabinieri. Mi ricordo quel giorno, volavano le valigette dalle finestre e dalle scale dell’hotel Da Vinci di Bruzzano, sede delle trattative. Il blitz era stato deciso dal pretore Costagliola, su esposto di Sergio Campana e dell’Associazione calciatori. L’Aic voleva “eliminare” i mediatori delle compravendite e chiedeva che i giocatori non venissero più considerati come pacchi postali. Fin lì, se Tizio veniva venduto alla società XY, non poteva opporsi. Poteva rifiutare il trasferimento, ma in quel caso sarebbe stato confinato in un angolino: c’era il vincolo. Nel ’78 il mercato venne sospeso e per sbloccarlo dovette intervenire il governo Andreotti, con il sottosegretario Evangelisti. Nel 1981 arrivò poi la legge 91, dove si stabilì che la firma del giocatore sarebbe stata decisiva per validare un trasferimento. Quando, anni più tardi, la legge Bosman stabilì che un giocatore a fine contratto sarebbe stato libero di scegliersi la nuova squadra, senza che al vecchio club venisse corrisposto un indennizzo, il percorso venne completato. Oggi siamo agli antipodi rispetto al 1977, siamo passati da un estremo all’altro”.

Il suo primo affare importante- “Da DS del Varese, nel 1980, quando presi Michelangelo Rampulla dalla Pattese, in Sicilia, per due milioni di lire. Mi pare che il ragazzo abbia poi fatto carriera. Il presidente del Varese era l’avvocato Mario Colantuoni, uno dei miei maestri. Colantuoni, ex proprietario della Samp, voleva essere chiamato Avvocato e non Presidente perché, diceva, per diventare avvocati bisogna farsi un mazzo così mentre per essere presidenti basta firmare un pezzo di carta. Lo avevano soprannominato l’avvocato di campagna, ma aveva ragione lui”.

Che mercato era?- “Imperversavano i mediatori, gli antesignani dei procuratori. Ne ricordo tre, Romeo Anconetani, futuro presidente del Pisa, Lamberto Giuliadori che aveva forti agganci in Brasile, Biagio Govoni che poi diventò direttore sportivo. Prendevano il 5% su ogni affare, i contratti venivano battuti a macchina da scrivere e su carta carbone”.

Il suo primo errore o scivolone- “Sempre al Varese. Don Antonio Sibilia, patron dell’Avellino, mi chiese Ennio Mastalli e io gli dissi ‘parliamone’. Senonché, a trattativa ben avviata, venne da me Angelo Massimino, presidente del Catania, che mi offrì 100 milioni in più di quello che voleva darmi Sibilia. Chiusi l’affare con Massimino, Don Antonio non la prese bene”.

Sibilia non era un tipo facile, diciamo, e fargli uno sgarbo poteva costare caro. Lei rischiò grosso- “Mi affrontò a muso duro e passai un brutto quarto d’ora. Disse che ero stato scorretto che mi ero comportato malissimo, però alla fine mi liberò dall’impegno che avevo preso perché aveva intuito la buona fede, la volontà di fare gli interessi della mia società. Fu una lezione”.

E Massimino?- “Che personaggio. Ho un aneddoto inedito su di lui, un giorno si arrabbiò perché il Catania aveva comprato uno stock di guanti da portiere: ‘E perché i portieri c’hanno bisogno dei guanti e gli altri no?’ imprecava. Non conosceva i dettagli tecnici, però se ti stringeva la mano potevi stare tranquillo”.

L’affare più deludente e l’affare capolavoro- “Nel 2001 all’Atalanta vendemmo Cristian Zenoni e Donati al Milan per 45 miliardi di lire più Comandini, valutato circa 15 miliardi. Da Comandini mi aspettavo molto, ma il suo rendimento non fu all’altezza. L’affare migliore penso che sia stato Pogba, alla Juve lo prendemmo a zero dallo United e lo rivendemmo per 115 allo stesso Manchester. Ma ci sono altri colpi che ricordo con piacere, per esempio Casiraghi: ero al Monza e lo cedetti alla Juve per tre miliardi e mezzo. A Ravenna strappai al Toro la comproprietà del giovane Christian Vieri. Il presidente granata era quello che suonava la chitarra, Goveani”.

Qual è stata l’estate in cui il mercato è entrato nell’era moderna?- “Nel 1983: Zico all’Udinese con la regia di Franco Dal Cin, la più bella operazione degli anni ottanta, la prima futuristica perché supportata da una strategia di marketing e di sponsorizzazioni. Per me è stato uno spartiacque, da lì è cominciata l’epoca del calcio business”.

Le differenze tra ieri e oggi?- “Ieri c’era più serietà perché c’erano meno attori. I procuratori non esistevano, i familiari dei giocatori non si intromettevano. Molte trattative si chiudevano a cena, un bicchiere di vino in più aiutava a vincere le resistenze. Ieri si faceva un ampio uso di cambiali, la gente firmava e firmava…oggi è tutto digitalizzato e il rischio è l’hackeraggio, a me è successo di essere stato vittima di intromissioni truffaldine”.

Trucchi di ieri?- “Un grande classico, prima dei telefonini, era questo. Tu stavi all’Hilton e dovevi vendere, poniamo, un centravanti. Nella hall vedevi il tuo collega Caio che stava trattando la cessione del suo centravanti con il collega Tizio. A quel punto andavi alla reception e chiedevi che via altoparlante lanciassero questo messaggio: ‘”il signor Caio è desiderato con urgenza al telefono. Caio si staccava e tu agganciavi Tizio per proporgli il tuo, di centravanti. Ammetto di aver fatto questa cosa”.

Il ruolo dei giornalisti è cambiato?- “Ai vecchi tempi i cronisti incidevano di più perché erano amici dei presidenti e li frequentavano, cosa impensabile oggi. Ricordo specialisti del settore come David Messina e Franco Mentana della Gazzetta, Franco Esposito e Domenico Morace del Corriere dello Sport, Lionello Bianchi, “il professore”, e Franco Rossi del Giorno, Franco Ordine del Giornale. Allora i giornalisti influenzavano il percato perché facevano pubblicità a questo o quel giocatore, oggi è più difficile perché bastano tre-quattro clic per farsi una prima idea del reale valore di un calciatore”.

Le regole per una buona trattativa- “Bisogna essere trasparenti e furbi allo stesso tempo. Non si deve prendere in giro la controparte, spacciare qualità laddove qualità non c’è”.

Bugie?- “Sono ammesse le bugie bianche, a fin di bene, le omissioni veniali”.

Vale ancora la stretta di mano?- “Non più, una volta ti fidavi perché i poco di buono venivano isolati in fretta”.

Soluzioni?- “Bisognerebbe liberalizzare tutto, azzerare il valore dei cartellini almeno a partire dal 25° anno di età. Dai 25 in su il calciatore diventerebbe come un attore, libero di trattare il proprio ingaggio per un film. Sparirebbero i costi degli investimenti e i relativi ammortamenti a bilancio. Certo verrebbero favorite le grandi società, però se la compravendita fosse mantenuta fino ai 25 anni si salvaguarderebbero i piccoli club, verrebbero riconosciuti i loro sforzi per aver formato un giovane”.

In pratica la fine del calciomercato come l’abbiamo conosciuto- “Esatto, ma di fatto è già così, perché tutti andiamo a caccia dei giocatori a fine contratto e sempre di più versiamo loro un signing fee, un bonus di entrata. Pagheremmo di più i calciatori, ma azzereremmo o quasi i costi degli investimenti. Le società diventerebbero aziende di intrattenimento”.

Le piace ancora fare mercato?- “Sì, ma un po’ meno. Vedo in giro troppi improvvisatori. Italo allodi, uno dei padri del calcio moderno, diceva: ‘Quello del pallone è l’unico mondo in cui un muratore può diventare architetto da un giorno all’altro’. Aveva ragione. Oggi trattiamo con gente che fino a qualche anno fa faceva il grossista di piante, ma non si diventa medici per improvvisazione, bisogna studiare e impratichirsi”.

Ce l’ha con i procuratori?- “Un allenatore e un dirigente per emergere fanno una fatica bestiale, un procuratore molto meno. In questo momento di deregulation chiunque può inventarsi agente. Il procuratore è giusto che ci sia, però andrebbe contenuto in parametri definiti. Non concepisco i grandi esborsi agli agente, ma spesso le società sono costrette a concederli se vogliono concludere le operazioni”.

I procuratori più bravi secondo lei?- “Mi trovo bene con quelli della vecchia guardia: Branchini, Tinti, Damiani, Sergio Berti e mi scuso se ne dimentico qualcuno”.

fonte: Sportweek

Pubblicato da
Alessandro Cocco

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