Mourinho: “Milito importante come Orlandoni, a Madrid pensavo…”
José Mourinho è stato l’ospite di oggi ai microfoni di “Casa Sky Sport” (QUI la prima parte). L’ex tecnico dell’Inter ha raccontato quella magica stagione del Triplete
TUTTI SONO STATI IMPORTANTI – Mourinho sottolinea quanto tutti siano stati importanti: «Oggi mi sento come il rappresentante dei giocatori. Non mi vedo come uno speciale, mi vedo come un rappresentante di questi giocatori. Come cercavo di dire prima, in questa squadra l’importanza di Diego che ha segnato i 4 gol dei tre titoli, Julio, Cambiasso, Stankovic, per me il contributo di questi giocatori è lo stesso di Orlandoni che non ha mai giocato. Abbiamo fatto molto più delle Coppe che abbiamo vinto».
UN ATTEGGIAMENTO ALTRUISTA – Mourinho ricorda come nella finale di Champions non ha mai pensato a sé stesso, ma ai giocatori e a tutto l’ambiente: «Quella finale io non ho mai pensato a me stesso. Non ho mai pensato che avrei vinto la mia seconda Champions, non ho mai pensato a me. Ho sempre pensato alla gioia degli altri. Ho sempre pensato al significato di quella Coppa per Moratti, Zanetti, i giocatori. Ho sempre pensato in modo altruista e questo mi ha fatto sentire speciale. Sono riuscito a essere umile, tranquillo, più attento alle reazioni degli altri che alle mie. Loro hanno fatto tanto per me».
IL RAPPORTO CON DIEGO MILITO – Mourinho parla di Diego Milito, uno degli eroi di quella stagione magica: «Qualche anno fa era venuto a Manchester per una mia partita. Sono tanti anni che non ci vediamo e quando ci vediamo sembra che siamo stati insieme ieri».
LA SVOLTA DI KIEV – Mourinho parla della decisiva sfida di Kiev in cui l’Inter rischiò di uscire dalla Champions League ai gironi, in particolar modo di cosa successe all’intervallo: «Io non sono uno che perde tempo a raccontare storie di spogliatoio, ma dopo tanti anni la gente comincia a parlare delle cose ed è anche bello condividere la storia. In quella partita lì nell’intervallo ho visto gente triste, odio la gente triste quando c’è tempo per giocare. Dico sempre che ho pianto tante volte dopo le grandi vittorie, però ho pianto solo una volta dopo una sconfitta perché non mi piace. A Kiev ero arrabbiato, sentivo che la squadra doveva fare molto di più, si può perdere, ma lasciando tutto in campo e non piangere dopo la partita. In quell’intervallo sono riuscito a fare i cambi tattici di cui c’era bisogno perché nemmeno il pareggio andava bene. Sono riuscito a entrare nel cuore dei giocatori e la squadra nel secondo tempo è stata fantastica. Magari è il momento chiave, se perdevamo eravamo fuori».