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Mourinho: “Chat Triplete Inter? Io il più attivo! A Barcellona qualcosa in più”

José Mourinho, nel corso della lunga intervista rilasciata a Diletta Leotta per DAZN (qui la prima parte), ha ricordato alcuni momenti dei suoi due anni all’Inter, culminati con la vittoria della Champions League e del Triplete. Uno dei passaggi fondamentali è la semifinale di ritorno al Camp Nou contro il Barcellona, del 28 aprile 2010.

FRASE A EFFETTOJosé Mourinho ricorda un momento clou della sua presentazione all’Inter: «Non sono pirla? Esisterà una traduzione (in portoghese o in inglese, ndr). È nata perché io avevo un professore fantastico, studiavo tanto e mi prendevo un paio d’ore ogni giorno per studiare. Siamo andati dopo a una fase dove lui mi ha detto: “Magari adesso che abbiamo tempo tu devi imparare qualche espressione e qualche parola che a Milano potrai tenere un po’ più di connessione con la gente”, ed è arrivato a pirla».

INTER NON DIMENTICATA – Mourinho ammette come il gruppo di quei due anni sia ancora in contatto: «Il nerazzurro? È fantastico, è famiglia. La chat con gli altri protagonisti dell’Inter del Triplete? Sono il più attivo perché non sto lavorando! (ride, ndr) In questo momento qualcuno come me non fa niente, qualcuno è ancora giocatore, qualcuno è allenatore o assistente, qualcuno è in vacanza permanente però siamo lì come se ieri siamo stati insieme. Non è stato ieri, è stato quasi nove anni fa. Io credo che non sia possibile fare qualcosa di speciale solo perché l’allenatore ha qualcosa di speciale: più della qualità dei professionisti era, anche dal punto di vista umano, un gruppo speciale. Ho aiutato tanti, come individuale, ad arrivare al punto più alto della loro carriera, però anche loro con me sono riusciti a fare questo».

PREPARAZIONE PERFETTA – Mourinho torna su un episodio chiave del Triplete dell’Inter, il discorso prima della partita contro il Barcellona del 28 aprile 2010: «Mi è uscito dal cuore, perché quando io ho vinto la mia prima Champions League (col Porto nel 2004, ndr) mio figlio, innamorato del calcio, aveva quattro o cinque anni. Non si ricordava, ma in quella stagione lì mio figlio mi diceva sempre “Io voglio vincere la Champions League, però una che possa ricordare sempre”. Abbiamo parlato di questo con i giocatori e dopo non abbiamo parlato di mio figlio, ma dei figli di tutti e che magari per molti di loro era l’ultima opportunità per vincere la Champions League, perché più della metà della squadra era gente che era già now or never. Abbiamo messo tutti insieme quella sensazione che oggi potevamo stare qui tre, quattro o cinque ore che il Barcellona non avrebbe vinto mai nella vita, perché avevamo qualcosa di più».

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