Moratti: “Inter e Conte, stessa voglia del Triplete! Serie A? La finirei qui”
Seconda parte dell’intervista a Massimo Moratti, ex presidente dell’Inter del Triplete. Domani cade il decennale da quella splendida stagione, QUI la prima parte dell’intervista con l’ex numero uno nerazzurro
MEMORIA STORICA – Massimo Moratti conserva ricordi piuttosto nitidi di quell’annata 2009/10, che portò l’Inter verso il Triplete consegnando i nerazzurri alla storia. Una notte, quella di Madrid, che Moratti non dimenticherà mai, ma che fu scossa non soltanto dall’addio repentino di José Mourinho, ma anche dalla richiesta d’aumento di Diego Milito: «Sinceramente la considerai un po’ stonatina. Ma non ci feci caso, tanto non si sarebbe mosso dall’Inter. Credo che Diego volesse che si sottolineassero i suoi meriti. Tanti giocatori di quella squadra avevano meriti? Si, ma fu la vittoria del gruppo. Il simbolo fu Milito, ma uno con la classe e lo stile di Samuel Eto’o che faceva il portatore d’acqua fu determinante. E poi non dimentico Mario Balotelli, che giocò partite stupende con tanti gol, anche se nei ricordi viene cancellato. Tutti diedero il massimo, tutti ebbero il meritato premio».
LACRIME – Se c’è un rimpianto che Moratti conserva gelosamente nel suo cuore, è quello di non aver avuto Peppino Prisco e Giacinto Facchetti al suo fianco nel trionfo del Triplete: «Erano l’immagine dell’Inter. Prisco tifoso vero e bravissimo avvocato, e poi Facchetti, trasparenza, pulizia e onestà, il simbolo della società. L’Inter di oggi e quella del Triplete? Ha la stessa voglia. Nella mente della società, dell’allenatore e dei giocatori. E la voglia decide tutto. Antonio Conte? Gran lavoratore, dà garanzie. Manca in tribuna un presidente tifoso come Moratti? Ma io allo stadio ci vado sempre. Steven Zhang soffre e può essere considerato un vero tifoso».
RISCHIO – Mettendo da parte il Triplete, c’è da sottolineare il momento delicato per l’Italia e il calcio italiano, che Moratti analizza col consueto raziocinio: «C’è una contrapposizione: da un lato, la necessità di ricominciare perché la macchina non può star ferma per tanto tempo. Dall’altra la volontà di dire “Non bisogna farlo perché è pericoloso”. Bisogna aver pazienza ed essere previdenti con la salute di mezzo, forse conviene fermarsi e preparare la prossima stagione. Un solo mese di campionato mi fa paura, perché i giocatori sarebbero a rischio infortuni, io la finirei qui».
Fonte: Quotidiano Sportivo – Giulio Mola