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Berti: “Io interista di vecchia scuola. Conte un amico, mi rivedo in Barella”

Nicola Berti, nel giorno del suo compleanno, ha concesso una lunga intervista a “Repubblica” in cui ha ripercorso la sua carriera, la sua vita attuale, l’attualità e l’Inter dei giorni nostri. Di seguito la prima parte delle dichiarazioni dell’ex bandiera del centrocampo nerazzurro

Nell’Inter di oggi, si rivede in un giocatore in particolare? – «Mi riconosco in Nicolò Barella. Rispetto a me è più basso e più tecnico. Io fisicamente ero dirompente, ma lo spirito è quello. Della rosa attuale è il mio preferito. Abbiamo anche le stesse cifre sulla camicia, NB. Ci siamo conosciuti, è un tipo sveglio».

Con Antonio Conte ha giocato in Nazionale. Siete ancora amici? – «Certo, ci vediamo. Un anno e mezzo fa, quando Spalletti già traballava sulla panchina dell’Inter, ci incontrammo in un resort in Puglia. Gli dissi: dai che ti porto alla Pinetina! Lui si mise a ridere. Anche se non sembra un farfallone, Antonio si sa godere la vita».

Lei è un farfallone? – «Forse lo ero. O forse neanche quello. Spesso le persone non sono come appaiono. Al contrario di Conte, io sono molto più serio di come sembro».

Quali sono i punti di forza di questa Inter e quali i difetti? – «Antonio sta costruendo una squadra solida e vincente, a sua immagine e somiglianza. Da tifoso, ne sono davvero contento».

Questa Inter cos’ha in più, e cosa in meno, rispetto a quella dello scudetto dei record? – «Paragonare le squadre di oggi a quelle di vent’anni fa non ha senso. E’ cambiato tutto, tranne lo spirito. Il merito è dei due allenatori».

Il Trap e Conte. Due “gobbi” che sono riusciti a farsi amare dalla Milano nerazzurra – «Se è per questo, il Trap aveva anche un passato milanista. Per lui conquistare il tifo nerazzurro dev’essere stato più complicato. Negli anni ottanta il calcio si seguiva in modo viscerali. Erano i tempi del giocatore tifoso, delle bandiere in campo. Oggi l’idea che l’allenatore e il giocatore siano professionisti è più diffusa».

Gli interisti si dividono fra antimilanisti e antijuventini. Lei da che parte sta? – «La Juve in Italia non è mai stata simpatica a nessuno, tranne che agli juventini. Ma il Milan contro cui giocavo io era così forte che non potevi non sentire la contrapposizione».

Lei i giocatori del Milan li prendeva a pallonate in allenamento – «Mica sempre! Però è vero, è successo. Il Milan di Sacchi era una squadra di giganti. Anche solo a vederli apparivano arroganti, facevano paura. Prima dei derby facevamo riscaldamento in una piccola palestra all’interno dello stadio, tutti insieme. Appena uno di loro si girava non resistevo, partiva la pallonata».

Meglio sconfitti che milanisti. È un suo slogan – «L’ho detto in un’intervista dopo un derby di Coppa Italia. Lo direi altre cento volte. Lo sfottò ci sta sempre, è sano, è il calcio. Un gusto che oggi si è un po’ perso».

I tifosi interisti le cantavano “Nicola Berti facci un gol” a ogni tocco di palla – «A pensarci mi vengono i brividi. Se guido gli occhi quel coro lo sento ancora, come l’odore del prato di San Siro. Quando quel coro, il mio coro, è stato rivolto a Diego Milito nell’anno del Triplete ho capito davvero quanto mi avevano amato i tifosi. Mi incitavano come fossi un centravanti, anche se ero un centrocampista. Al Milan, per dire, facci un gol lo cantavano
Van Basten».

Non è un po’ fissato col Milan? – «Ma no! Solo che sono un interista della vecchia scuola. Sono cresciuto con i tifosi. Li vedevo a bordo campo alla Pinetina durante gli allenamenti. Li incontravo a ristorante ad Appiano Gentile. Facevo il giro degli Inter Club e lo faccio ancora. La mia Inter era quella di Peppino Prisco e sapete tutti cosa pensava del Milan».

Oggi i campi di allenamento sono chiusi come basi spaziali, Pinetina compresa – «E’ un peccato. Intorno al calcio c’è molta pressione, più polemica, un vortice di voci alimentate dai social network. Forse aprire gli allenamenti sarebbe dannoso, non so. Ma resto convinto che un giorno a settimana in cui i bambini possano godersi i loro campioni dal vivo nella quiete del campo d’allenamento sarebbe bellissimo farlo».

Voi campioni dell’88-89 avete una vostra chat? – «No, mai avuta. L’abbiamo invece con i compagni di Nazionale a Italia 90. Io leggo tutto ma scrivo pochissimo. I più chiacchieroni su whatsapp sono Ferri e De Napoli, il nord e il sud. Comunque non serve whatsapp per tenere i rapporti. Noi dell’Inter del Trap ci chiamiamo alla vecchia maniera».

Lei chi è che chiama? – «Aldo Serena è un fratello. Poi Zenga, Ferri, Bergomi. Con i tedeschi ci si prova. Klinsmann è poliglotta, parla un italiano perfetto, ma è l’unico. Con Matthaus e Brehme ci si intende in qualche modo, come facevamo quando si giocava insieme».

Il Trap lo sente? – «Il Trap è difficile sentirlo. L’ho visto al teatro alla Scala per la festa dei 50 anni dell’azienda del presidente Pellegrini. Scherzando ho detto alla moglie: dai che è vecchio, tienilo a casa, fallo riposare! Ma è impossibile, il Trap non si riposa mai. Lo so io, figuriamoci se non lo sa la moglie».

Vinceste contro il Milan di Sacchi e il Napoli di Maradona. La Serie A può tornare a essere il campionato più bello del mondo? – «A quei livelli è impossibile. La Serie A era una sorta di Mondiale per Club. Molto più della Premier League oggi, che pure ci sembra irraggiungibile. Quando passai dall’Inter al Tottenham gli avversari mi sembravano tutti un po’ scarsini. Per contro chi arrivava dall’Inghilterra all’Italia faticava. Qualche segnale di ripresa comunque lo vedo, oggi la Serie A tecnicamente è più interessante della Liga».

In proporzione guadagnavate meno di oggi? – «Non mi interessa molto, non faccio calcoli. Guadagnavamo abbastanza per vivere bene».

fonte: La Repubblica – Franco Vanni

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