Mondo Inter

Moriero: «Juventus-Inter ’98 un po’ falsata, la rigiocherei alla pari! Tutta la stagione»

Moriero – ex centrocampista dell’Inter -, ospite del podcast “Inter-Viste” di Radio Nerazzurra nel giorno del suo compleanno, si racconta parlando del suo primo approccio con i colori nerazzurri fino al giorno d’oggi. E non può mancare un ricordo relativo alla famosa Juventus-Inter del ’98. A fine articolo è accessibile il contenuto audio dell’intervista a Moriero

TRASFERIMENTO IMPREVISTO – L’approdo di Francesco Moriero all’Inter è tutto fuorché normale: «È una storia molto strana. Io venivo dalla Roma, ero un giocatore svincolato. Mi ero già messo d’accordo con una squadra inglese – il Derby County – quando poi, invece, arrivò la chiamata del Milan che mi invitò a firmare un contratto perché Fabio Capello cercava un giocatore di fascia. Firmo per il Milan. Poi faccio le visite, con le interviste e tutto il resto. Tornato a casa, dopo una settimana mi chiamò Sandro Mazzola – lui mi chiama sempre “Peppino”, anche se ad oggi non ne conosco ancora il motivo – e mi chiese se avessi voglia di venire all’Inter. In quel momento in cui me lo disse io avevo già immaginato Javier Zanetti, Ivan Zamorano, Ronaldo – allora c’era già una trattativa avanzata -, il “Cholo” Diego Simeone. Gli dissi di sì. Poi arrivai a Milano, ma il primo giorno d’allenamento, pur arrivando con grande entusiasmo, vidi il mio amico Zanetti sulla fascia e pensai: “Ma io dove vado?”. Mi sono detto: “Checco, qua devi far vedere chi sei”. Da allora dopo l’allenamento restavo per allenarmi sui cross. Cercavo di farmi conoscere dai miei compagni e vedevo, comunque che a loro – il Cholo, Zamorano – piaceva. Io non pensavo proprio di giocare titolare anche perché davanti a me avevo un grandissimo campione. Cercavo comunque sia di farmi conoscere, soprattutto dai miei compagni. La prima partita non gioco, mentre la seconda – la prima partita a San Siro – faccio gol contro la Fiorentina. E da lì, il capitano Zanetti insieme a Gigi Simoni decise di giocare lì a sinistra per trovare un certo equilibrio. Poi Zanetti poteva giocare dove voleva. E a sinistra fece un campionato straordinario. Trovammo gli equilibri. E da lì, è partita la mia avventura all’Inter».

NON SOLO SCIUSCIÀ – Il debutto di Alvaro Recoba per Moriero è altrettanto indimenticabile: «Sì, me la ricordo quella partita con il Brescia. Mi sembra che si perdeva 0-1 con gol di Dario Hubner. Ed entra questo ragazzino che comunque sia in allenamento già faceva vedere grandissime cose anche se lì davanti. Era un po’ soffocato perché c’erano campioni importantissimi. Il mister decide di mettere questo ragazzino che fece gol da 40 metri sotto il sette per l’1-1. Al secondo gol, su calcio di punizione tutti ci guardavamo: in porta c’era Giovanni Cervone – ed era bello grosso – e la distanza era attorno ai 30 metri. Lui prende questa palla la mette sotto il sette sul palo del portiere. E lì impazziamo tutti perché comunque sia era la prima vittoria, arrivata agli ultimi minuti. E nella gioia, non sapendo cosa fare, gli dico di mettere la scarpa sul ginocchio. Lui all’inizio non riusciva a capire anche perché non se lo aspettava. Io sono molto istintivo. È nato come un gesto per dare onore a un compagno che ha fatto una cosa bellissima. Vuoi poi che in quell’anno quasi tutti i gol dell’Inter furono veramente belli, allora è nato questo gesto. Era un gesto comunque di umiltà verso un compagno che ti aveva risolto la partita, e comunque sia, aveva fatto un numero spettacolare. Era il nostro gesto. Quello era il nostro gesto. A dir la verità, nel caso me la sarei lustrata da solo per quel gol al Neuchatel Xamax. Quando uno inizia a giocare per strada che vuol diventare un calciatore, sono due i gol che uno sogna di poter realizzare. Uno è quello di dribblare tutta la squadra avversaria e fare gol. E l’altro è quello in rovesciata. Mi ricordo quando ero bambino che facevo questo: provavo le rovesciate al mare, per strada con gli amici. Ma così come ma lo fanno tutti. E quando riesce a farlo in una partita ufficiale. Pensi: cavolo ce l’ho fatta. Però sono comunque dei gesti istintivi. Così come il gol con il Piacenza. Quale preferisco? Tutti e due! Anche perché sono stati tutti e due decisivi. Quello con il Piacenza sicuramente rappresenta il Moriero calciatore perché ero uno a cui piaceva dribblare. Ha una storia molto particolare perché mi ricordo che il mister diceva di dar via il pallone. Io giocavo sulla fascia, allora me ne andai a sinistra per stare lontano dai suoi richiami. Quando vidi che ci fu un passaggio sbagliato degli avversari, siccome mi ero accorto che il mister, nel giro di qualche minuto, mi avrebbe sostituito perché quel giorno, anche se non stavo giocando male, ce l’aveva con me. Consapevole che poteva essere la mia ultima azione, decisi di partire palla al piede e alla fine sono riuscito a fare gol. Noi eravamo così, vincevamo spesso le partite per giocate individuali. È chiaro, anche, che con il tempo riuscimmo a essere più squadra. Tanto che abbiamo chiuso il campionato con la miglior difesa».

“RAGAZZI 97-98” – I ricordi di Moriero sono riferiti soprattutto alla squadra che sente più sua: «Io sono sempre stato un giocatore-spogliatoio perché vivevo proprio il calcio in una maniera molto semplice e gioiosa. Io ti dico che in tutti i club dove sono stato ho mantenuto sempre un ottimo rapporto, tutt’ora, con tutti. La squadra del 1997/98 è tutt’ora una squadra molto unita. Tuttora abbiamo una chat dove ci sentiamo, ci facciamo delle risate (vedi esclusiva a Mauro Milanese a conferma, ndr). È rimasto dopo vent’anni un gruppo fantastico. Poi sono giocatori come Francesco Colonnese, Fabio Galante, Paulo Sousa, Roberto Baggio, lo stesso Ronnie, Zanetti, Zamorano, Beppe Bergomi. Ma d’altronde era questa la forza di quella squadra: il gruppo».

SCUDETTO SCIPPATO – Moriero non ha dubbi su quale partita del ’98 rigiocherebbe: «Sicuramente la partita di campionato contro la Juventus perché al Mondiale siamo usciti sui calci di rigore anche se meritavamo di vincere. Però perdere ai calci di rigore ci può stare. Contro la Juventus, anche se non abbiamo fatto una grandissima partita. Secondo me è stata un po’ falsata perché magari poi ti ripeto il problema non è stata quella partita ma ci sono state tante gare, tanti episodi in quell’anno che hanno fatto sì che la Juventus potesse recuperare tantissimi punti e quella sconfitta ancora brucia. Io ancora non riesco a vedere la fine perché per me la partita è finita dopo che non è stato dato il calcio rigore su Ronnie. E ancora oggi ci sono delle polemiche su chi dice che non sia un calcio di rigore. Poi magari il rigore sarebbe stato anche sbagliato. Può succedere di tutto. Nel calcio uno può vincere o perdere, non è quello il problema. Però mi sarebbe piaciuto giocarsela alla pari».

PER SEMPRE INTERISTA – Il primo ricordo di Moriero con il mondo Inter è banale: «Senza dubbio la presentazione. Io fui presentato insieme a Taribo West e al Cholo. E vedevo un entusiasmo impressionante. Comunque io venivo già da piazze importanti. Anche a Roma il giocatore viene osannato e/o criticato. È una piazza calda, importante. Però l’entusiasmo della gente che veniva alla Pinetina a vedere l’allenamento era unico. E poi sai, giocare comunque con giocatori importantissimi – come Zamorano, Zanetti e Ronaldo – ti dava un entusiasmo e quel qualcosa in più. E pian piano con le vittorie ci siamo innamorati. Mi sono innamorato di questa maglia e mi sono innamorato della tifoseria. Tuttora vengo comunque ricordato, mi chiamano. È un amore che non è mai finito. È vero: chi ha indossato quella maglia, mi dicono sempre, e chi l’ha onorata non verrà mai dimenticato. Cosa significa per me l’Inter? Questa domanda me l’hanno fatta tanti. Allora io parto dal principio che un calciatore quando indossa una maglia si deve innamorare. Questo per me è successo da quando indossava la maglia del Lecce fino a quando sono stato l’Inter come gli altri club. Ma soprattutto l’Inter mi ha dato la possibilità di diventare un calciatore famoso, e per questo, comunque sia, li ringrazio per tutta la vita. Per me l’Inter, ora come ieri, rimane una famiglia ma perché l’Inter non ti abbandona. L’Inter ti ama e ti segue. Ti fa sentire partecipe. Per me quel gruppo lì, del 1997/98. E ringrazio l’Inter per avermi dato questa possibilità, mi ha fatto conoscere grandi campioni ma soprattutto grandi uomini per cui per me rimane una famiglia».

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