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Frey: “Inter, a mio figlio spiego il vero Ronaldo. Virus? Potevo morire”

Sébastien Frey, ex portiere francese dell’Inter, nel corso di una lunga intervista concessa al sito “GianlucaDiMarzio.com” ha parlato della sua brutta esperienza con un virus. Poi è tornato a parlare della sua esperienza in nerazzurro e di Ronaldo Luís Nazário de Lima, meglio noto come “Ronaldo il fenomeno”.

UN VIRUSSébastien Frey inizia subito parlando del virus che lo ha colpito, rischiando addirittura la morte: «Quando senti certe cose, ti fermi per un po’, pensando a ciò che ti viene detto. Potevi morire, mi ripeteva il medico. Da un giorno all’altro, per colpa di un raffreddore. Alla fine però eccomi di nuovo qui, tornato alla mia vita normale. Certo, per riprendere a camminare, mi sono serviti un paio di mesi di fisioterapia. Ma posso finalmente dire di stare bene. È iniziato tutto banalmente, con un po’ di raffreddore presto trasformatosi in febbre. La temperatura è salita a quota 40, non ne voleva sapere di abbassarsi. Vado dal medico, mi prescrive un antibiotico che dopo una settimana non aveva ancora fatto effetto. Poi, il momento peggiore: una mattina mi sveglio e capisco che sono in grado di muovere soltanto la testa. Dal busto in giù, mi sentivo completamente paralizzato. Mi facevano due o tre prelievi al giorno, ogni giorno. Hanno scoperto che si trattava di un virus, mi dissero che rischiavo la vita. In poche parole, questo virus era riuscito a farsi largo a causa del livello troppo basso di difese immunitarie. Non mi restava che aspettare e sperare che il mio corpo sviluppasse gli anticorpi necessari per sconfiggere il virus. Mi permisero di tornare a casa dopo oltre una settimana di ricovero. Poco alla volta sono riuscito a tornare alla normalità, oggi non posso dire di essere al 100%, devo ancora fare dei controlli, però ho ripreso a fare sport e a seguire la mia routine quotidiana».

ESPERIENZA ALL’INTER – Frey torna a parlare dell’Inter, tra Djorkaeff e Ronaldo il fenomeno: «Sono arrivato all’Inter nel ’98 e mi sembrava un sogno, l’Italia era il top per un calciatore. Oggi i grandi club sono delle vere e proprie aziende. Berlusconi, Moratti… erano tutti tifosi sfegatati. Patron, sì, ma delle loro squadre del cuore. Mica come ora! Avevo 18 anni, entrai nello spogliatoio e vidi Djorkaeff. Non sapevo dire una parola in italiano, presto feci amicizia con i colossi del calcio francese. Fatti una stagione in prestito, mi dicevano, ma io non ne volevo sapere. Quando arrivai in Italia, avevo alle spalle una sola stagione da professionista. Eppure, all’Inter riuscivano a farmi sentire alla pari di tutti gli altri. Ogni tanto faticavo a crederci anch’io. Capitava che Ronnie mi facesse uno scherzo, mi raccontasse qualcosa. E io ero lì che pensavo… cazzo ma questo è Ronaldo! A mio figlio cerco di spiegare come il vero Ronaldo sia l’ex compagno di papà, non quello della Juve. n Francia gli stadi erano praticamente vuoti, in Italia l’opposto. La prima volta che ho messo piede a San Siro mi sono guardato intorno e ho visto 60mila persone sugli spalti. Ragazzi, questo è il calcio vero, pensai. Andavo al campo e mi allenavo con i migliori giocatori del mondo, Pagliuca invece che tirarsela era lí che mi dava consigli. Vai in prestito, vai in prestito, mi consigliava la gente. Non mi sono mai pentito di essere rimasto: un anno di allenamenti con calciatori di quel calibro mi ha fatto migliorare più di intere stagioni da titolare».

SU RONALDO IL FENOMENO – Poi un aneddoto riguardo l’attaccante brasiliano: «Vi racconto un aneddoto: dicembre ‘98, eravamo alla Pinetina. Ronaldo era l’uomo immagine della Nike, che aveva spesso tantissimi soldi perché fosse il suo testimonial. Vediamo arrivare un camion gigantesco della Nike, non capivamo cosa potesse contenere. Cominciarono a scaricare un po’ di cose. Magliette, orologi, scarpe e cappellini firmati. Cinque, sei gadget per ogni giocatore, tutti in dono da Ronaldo. È il vostro regalo di Natale, ci disse lui».

Fonte: gianlucadimarzio.com

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