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Inter, abbiamo frainteso Gabigol? La crescita col Flamengo spiega perché

Gabigol ha condotto il Flamengo alla vittoria di una Copa Libertadores effervescente e ai supplementari della finale del Mondiale per Club contro il quotatissimo Liverpool. Abbiamo tutti frainteso le sue potenzialità? Ma in Europa è arrivato soltanto un ologramma pubblicitario del brasiliano. 

EROE NAZIONALE – La polvere ha già iniziato a depositarsi sulla finale di Copa Libertadores, ma il faccione di Gabigol continua a campeggiare come icona emotiva di una finale strana. È apparso quasi surreale vedere il centravanti del Flamengo esultare sotto la curva immobile dei millionarios, che se avessero potuto perdere i sensi, stramazzando al suolo, probabilmente l’avrebbero fatto senza esitazione. Ai tifosi dell’Inter, l’immagine di Gabriel Barbosa che si sfila la camiseta, in preda a un’euforia olimpica, avrà ricordato i fotogrammi del gol messo a segno allo scadere contro il Bologna. Parliamo del 19 febbraio 2017, ma l’ex Santos pare aver ritualizzato la particolare abilità di decidere le partite in ‘zona Cesarini’, e di scrollarsi di dosso qualunque tipo di preconcetto.

RINATO – La maglia nerazzurra di quella stagione tribolata era carica di pregiudizi, oltre che di inserti gialli di dubbio gusto, e aveva regalato un’immagine profondamente discostante dalla vera essenza del classe ’96. L’opinione pubblica ha catalizzato nuovamente la sua attenzione sulle gesta del centravanti brasiliano, divinizzandolo come eroe dell’America Latina e liberatore di popoli a tinte carioca. Tra Libertadores e Brasileirao, Gabigol ha messo a segno trentuno reti e mandato in porta i suoi compagni in dieci occasioni. Dopo il ritorno in Brasile, l’attaccante di proprietà dell’Inter ha sviluppato e affinato il proprio istinto killer giocando molto sull’errore degli avversari. Il gol che ha tagliato la gola al River Plate scaturisce proprio dalla paura di Martinez Quarta e Pinola di sbagliare l’intervento. Un’incertezza fatale, diventata mortifera nel momento in cui Barbosa ha visto atterrare la sfera di cuoio sul collo del proprio piede sinistro. In quel momento, il tempo è sembrato dilatarsi restituendo al centravanti verdeoro parte dei torti subiti e delle critiche ricevute.

GABI, CHI SEI VERAMENTE’? – Per la cronaca, nella rosa del Flamengo, che ha scucito il titolo di campione al River di Gallardo, è presente anche Filipe Luis, altro esattore delle tasse in credito continentale con la fortuna. Facendo due passi indietro, è inevitabile riflettere sul primo impatto che Gabigol suscitò al momento del suo arrivo in Italia. L’ex Santos si era portato dietro un fagotto di aspettative e una quantità di hype che fuoriusciva dai suoi berretti e dalle sue sneakers come polvere brillantante. Fuliggine di (im)potenza che alla fine della storia ha trasformato Gabriel Barbosa in un fenomeno puramente mediatico, quando non da baraccone. La presentazione in grande stile aveva solleticato curiosità e ambizioni pendenti come aghi affilati sulla sua controversa figura.

OLOGRAMMA – Ma Gabigol aveva scelto di alimentare questo alone mediatico facendo da sé. L’esordio con l’Inter, in una sfida casalinga al Bologna, rappresenta un liofilizzato di questa pressione mediatica e continentale. Continentale perché l’adattamento transoceanico non è mai una formalità e Gabriel Barbosa ha sempre cercato di spostare l’attenzione sull’immaginario che lo circondava (da perfetto giocoliere brasiliano) più che sulle reali qualità da calciatore. L’ex Santos sciorina ‘rabone’ e no-look, alla prima a San Siro, senza mai avvicinarsi alla porta avversaria. Il Bologna, quella sera, strappa il punto grazie ad una rete di Mattia Destro: centravanti decisamente antitetico rispetto a quello che Gabriel Barbosa voleva farci credere di se stesso.

DUBBI – Ma il quesito persiste: siamo stati noi, forse, ad aver frainteso Gabigol? Probabilmente, l’eroe di Rio de Janeiro aveva frainteso se stesso, creando un ologramma europeo ipoteticamente più appetibile della sua reale consistenza. Frank De Boer, suo allenatore nella prima parte di campionato, lo ha pubblicamente deriso qualche tempo fa, confermando l’incapacità di comprendere la reale utilità di Barbosa. Tuttavia, non è possibile addossare una fetta così grossa di responsabilità sulle spalle dei tre tecnici di quell’annata. Stefano Pioli, Frank De Boer e Stefano Vecchi. Tutti e tre hanno assunto lo stesso atteggiamento con Gabriel Barbosa. Una sorta di quieto vivere che ne ha coperto (in parte) le marachelle extra campo, e al tempo stesso ne ha soffocato qualunque traccia di pulviscolo mediatico. All’ombra del Cristo di Corcovado, rigorosamente vestito di rojinegro, il centravanti del Flamengo ha riscoperto se stesso, respirando pian piano (e a pieni polmoni) l’aria di casa. L’esperienza di qualche mese al Benfica (agosto 2017 – gennaio 2018, ndr) è stata un po’ il tentativo, mal riuscito, di migrare prematuramente verso la saudade perduta.

ESSERE SE STESSI – In quel processo di ‘dimenticazione’, Gabigol è tornato ai primi passi della sua carriera. Come il viaggiatore che torna nella vecchia baracca di famiglia, spogliandosi di tutti i suoi averi superflui, dopo anni di lungo peregrinare. In quel momento, Gabriel Barbosa ha ritrovato la propria integrità dopo un viaggio transoceanico al contrario. Purtroppo per lui, c’è ancora la burocrazia (e un contratto con l’Inter) a ricordarci che Gabigol è in debito con l’Europa. Ma sarebbe bello dimenticarsi che sia mai atterrato nel Vecchio Continente. Gli permetterebbe di conservare nuovamente il ricordo vergine e leggendario di eroe del suo mondo.

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