Editoriali

Thohir, un alieno per il sogno Inter USA: un grazie che non fu mai detto, ET

Thohir lascia l’Inter tra le polemiche e le facili ironie di un Paese che non l’ha mai amato, a partire da una tifoseria troppo cieca per capire i reali problemi da affrontare. Eppure il fenomeno ET riesce a dare una lezione a tutta l’Italia del calcio e non solo… solo che fa male ammetterlo. Un sentito e sincero grazie in questo editoriale di addio

ARRIVA THOHIR – A metà novembre 2013 l’Inter passa ufficialmente nelle mani di Erick Thohir, che ne diventa il presidente al posto di Massimo Moratti, che successivamente uscirà definitivamente dai vertici nerazzurri. Da quel momento fino a oggi – 25 gennaio 2019 – l’Inter non vincerà nemmeno un trofeo. Stessa cosa avvenuta dal 2010 in poi (con l’unica parentesi di maggio 2011 rappresentata dalla Coppa Italia firmata Samuel Eto’o con la sagoma di Leonardo in panchina, ultimo trofeo ufficiale alzato dall’Inter), come se fosse comodo dimenticare il vero motivo per cui l’Inter non vince praticamente più nulla di competitivo da quello storico 22 maggio 2010. L’arrivo di Thohir all’Inter combacia con il periodo più pericoloso e preoccupante della storia nerazzurra sia dal punto di vista tecnico (giocatori di livello arrivati a fine carriera e giovani di talento impossibilitati a essere lanciati senza essere bruciati) sia soprattutto economico (debiti per la cattiva gestione precedente e regole UEFA più rigide). Tradotto: Thohir prende in mano la patata bollente Inter che equivale a un fallimento annunciato.

ANNI ZERO – Thohir si muove subito in ambito amministrativo e finanziario per regalare all’Inter una nuova veste: trasformare la piccola ditta di famiglia dei Moratti in un’azienda vera e propria, quindi abbandonare il medievale sistema economico-sportivo europeo per abbracciare quello americano, fatto di investimenti mirati e bilanci sorridenti. Le vittorie sono accessorie, quest’ultimo è l’unico vero passo falso “italiano” della gestione Thohir, che però non ha scelta: o l’Inter viene messa nelle condizioni di tornare a respirare facendo dei sacrifici oppure il fallimento è dietro l’angolo, altro che “non vittorie”. L’era Thohir è dunque un continuo di anni zero fatti di transizioni su transizioni senza una programmazione sportiva adeguata, ma le colpe sono tutte dirigenziali (Thohir sbaglia a fidarsi di uomini altrui…), mentre a livello gestionale l’Inter macina piccoli successi che la porteranno a essere un’entità credibile agli occhi di altri investitori in mercati più ricchi di quelli nazionali ed europei. Il futuro societario è tracciato e lo traccia Thohir, che trova il socio forte per continuare il paziente progetto di riqualificazione dell’Inter: arriva la famiglia guidata da Jindong Zhang con l’esperienza del Suning Group a fare da esempio. Riassunto: Suning non è diventata Suning in un anno, l’Inter non può tornare a essere l’Inter in tempi così stretti.

PROGETTO MUTO – Sotto l’era Thohir succede di tutto e di più. Arrivano allenatori, calciatori, dirigenti e sponsor come se non ci fosse un domani. E nessuno resta, ma le casse dell’Inter migliorano ogni giorno di più. O così sembra. L’Inter non vince nulla, è vero, ma mantiene un certo appeal a livello nazionale e internazionale. Di scudetto in Serie A non si parla e neppure di Coppa Italia, ma il monopolio della Juventus offusca il fallimento dell’Inter perché può paragonarsi tranquillamente a quello di Milan, Napoli e Roma: nessuno può competere sul campo, dietro la scrivania però bisogna fare qualcosa. E l’Inter di Thohir lo fa, in silenzio. Manca la Champions League (riconquistata a fatica in quel famoso Lazio-Inter dello scorso maggio) e in Europa League si inanellano figuracce su figuracce, eppure l’Inter è sempre l’Inter. Gli anni passano e l’Inter delude i tifosi e la critica, ma Thohir non molla di un centimetro il suo progetto perché ha un obiettivo e vuole portarlo a termine: ri-ossigenare le casse dell’Inter in nome del Fair Play Finanziario UEFA per poi cedere le quote a quella proprietà più ambiziosa.

SOGNO AMERICANO – In Italia, però, all’Inter si chiedono solo vittorie e purtroppo le critiche le becca tutte Thohir, che quindi decide di abbandonare per un attimo la razionalità e fa una sola mossa “alla Moratti”: riprendere Roberto Mancini in panchina e ascoltarlo sul mercato. Sembra l’inizio di una nuova era d’oro, invece ciò rallenta il percorso di rinascita dell’Inter: si accumulano nuovi debiti (l’acquisto di Geoffrey Kondogbia è solo l’esempio più lampante) e ci si allontana nuovamente dal vertice. E quando tutto sembra poter rientrare, succede l’inaspettato: cambia la proprietà e Mancini abbandona l’Inter a due settimane dall’inizio ufficiale della stagione. L’era Thohir non finisce nell’estate 2016, ma la mossa dell’imprenditore indonesiano è geniale: manda in avanscoperta la famiglia Zhang e nel frattempo lavora dietro le quinte. Thohir ha un’idea anche in ambito tecnico-sportivo, per questo arriva Frank de Boer sulla panchina. Inutile ricordare quest’altro “fallimento” dettato da una cultura italiana tutt’altro che aperta alla novità, pertanto vince la nuova politica societaria: Suning si “imbastardisce” furbescamente facendo credere di gestire l’Inter all’italiana, nel frattempo continua il sogno americano di Thohir.

THOHIR VA VIA – In pratica si arriva agli ultimi due mesi, quando Thohir prima lascia la presidenza al rampollo di casa Suning – il neo Presidente Steven Zhang – e oggi le quote al fondo LionRock Capital, vicino alla proprietà cinese per riportare l’Inter ai vertici in campo e non. E ne trae profitto economico, giustamente, perché significa che le cose sono andate tutte per il verso giusto, pur non alzando trofei da numero uno. Di fatto l’Inter di Thohir è stato un fallimento, vero? Questo è quello che ci vogliono far credere. Prima dell’arrivo di Thohir in America e in Asia nessuno conosceva effettivamente l’Inter, il logo e la sigla “FCIM” non si associavano a nessun brand, nulla di nulla, oggi l’Inter ha quasi più séguito lì che in Italia ed Europa… Incredibili i passi in avanti fatti in ambiti quali comunicazione, marketing, merchandising e sponsorship, aumentando nel frattempo la competenza della dirigenza e la competitività della rosa con gli uomini giusti nei ruoli giusti (per ora). Quindi bisogna essere onesti con Thohir, a cui non si poteva chiedere di riportare l’Inter ai vertici del calcio (inter)nazionale in tempi di Settlement Agreement e tutte quelle parole fighe utilizzate nello sport 2.0, fatto più sulla carta che in campo. Messaggio forte e chiaro: Thohir all’Inter è riuscito a fare quello che doveva (e voleva) fare.

GRAZIE ET – Di certo Thohir non verrà ricordato come il miglior presidente della storia dell’Inter né come il più vincente, perché di fatto non ha vinto nulla, ma alla fine ha portato a casa la sua vittoria: oggi l’Inter è rinata, dopo poco più di cinque anni di lavoro silenzioso, e può tornare ad ambire ai trofei, magari già da questa stagione (Coppa Italia e/o Europa League?). Senza Thohir, che però va congedato come merita: non un eroe, ma un imprenditore lungimirante che è riuscito nell’impresa eroica di salvare il fallimento Inter attraverso una gestione corretta, moderna e paziente, step by step (da Moratti a LionRock passando per Suning). C’è chi negli ultimi tempi vi avrà detto che “Thohir usa l’Inter per fare i suoi comodi e guadagnare”, ma in quanti avrebbero rischiato di mettersi economicamente a rischio come lui per inseguire questa apparente utopia? Ah già, ma a parole tutti sono bravi, come i VIP interisti che volevano (vogliono? Vorranno?) acquistare le sue quote per gestire l’Inter seguendo le direttive del Paolo Bonolis di turno (con rispetto parlando per l’uomo e il tifoso, sia chiaro). E invece Thohir tra le critiche italiote mette la firma – più che la faccia – sul modello americano della nuova Inter, ora cinese e bella agli occhi di tutti: più che usa l’Inter, l’Inter USA. E nessuno forse l’ha mai detto né scritto: Thohir, un alieno a Milano. Grazie ET e buona fortuna per tutto, davvero.

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