Editoriali

L’Inter è finalmente una squadra. E questa è già una notizia

La rinascita del gruppo Inter. I sorrisi di Lautaro e Lukaku, gli abbracci di Sensi e Barella fanno ben sperare per il futuro. È l’anno zero di un gruppo che da zero sembra intenzionato a ripartire.

FARE SQUADRA – Fin troppo spesso il concetto di gruppo e di collettivo viene alterato, trasportato fuori dal tempo e dallo spazio. Sembra quasi che la consacrazione dello stesso, in senso sportivo ovviamente, passi attraverso fattori e variabili inevitabilmente intangibili, che dipendono esclusivamente dalla volontà e dall’iniziativa dei protagonisti in gioco. Come direbbe Totò “La somma fa il totale“, e nel nostro caso aggiungeremmo “se si vuole”. Già, perché l’Inter dell’ultimo decennio scarso ha continuamente schiacciato pisolini su materassi spinosi, aguzzi e talvolta intrisi di veleni sparsi. Fino a quando il sonno non diventava insostenibile e l’allenatore di turno non veniva costretto (dopo svariati tentativi di cambio materasso) a deporre definitivamente le armi.

COMPROMESSI – In realtà la gestione del gruppo Inter è sempre stata un cruccio e un enigma al tempo stesso. Le famose leggende metropolitane sul clan degli argentini che imperversava negli spogliatoi di Appiano Gentile va avanti da secoli, abbracciando e caratterizzando perfino i cicli vincenti post Calciopoli. La gestione del gruppo, tuttavia, è una questione per artificieri navigati, non tanto per la presenza di chi sa quale ordigno esplosivo (anche se alla luce della vicenda Icardi, si potrebbe quasi obiettare), quanto poiché essa va inevitabilmente ad incastrarsi con la politica di gestione societaria del momento. L’Inter è nota per aver più e più volte optato per una gestione accomodante dei propri calciatori. Si pensi ai personaggi di Maicon e Adriano, che ponevano il loro talento come abile scudo per le loro marachelle. Ma soltanto in determinate occasioni un approccio di tipo familiare finisce per pagare i dividendi e Maicon ne è la riprova, ma talvolta esso contribuisce soltanto ad acuire i malanni, anche se il caso Adriano ha radici ben piu profonde e delicate.

AL FUOCO – Alla luce di ciò, la preziosa commistione fra elementi chimici come la dirigenza e il gruppo di calciatori richiede il profilo di un alchimista esperto. In quel caso, il risultato dell’esperimento risulta comunque imprevedibile, talvolta terminando con esplosioni e nuvolette di fumo come nei cartoni animati. Ecco, esplosioni e nuvolette di fumo avevano continuato ad aleggiare nello spogliatoio di Appiano fino a quando qualcuno non ha ben pensato di rovesciare benzina sul pavimento. Ed è allora che il banco è saltato.

POLVERIERA – Attribuire al caso Icardi la quota maggiore di responsabilità per i malanni dello spogliatoio dell’Inter (nelle ultime stagioni) potrebbe essere doveroso, ma non del tutto esaustivo. In molti casi (Roberto Mancini su tutti) era stato l’alchimista stesso  a ribaltare il tavolo di lavoro. A ragione o a torto non ci è dato saperlo, ma il risultato ottenuto è stato solamente un infittirsi della nube di fumo. Da lì in poi, lo spogliatoio di Appiano è diventato una miniera costante per il gossip e le dicerie extra campo. Matrimoni sull’orlo del baratro, conflitti etnici fra clan rivali e chi più ne ha più ne faccia esplodere. Come da programma, quelle voci hanno finito rapidamente per imboccare la superstrada verso l’estremismo. Ma qualcosa, sotto la spessa coltre di fumo, stava evidentemente andando a fuoco.

TORNA IL SERENO – All’origine del nostro sproloquio, c’è la scelta netta e drastica di Giuseppe Marotta e soci, che hanno preferito rimuovere (con annesso clamore mediatico) i covoni di grano marcio che andavano a fuoco nello spogliatoio. In questo modo, si è cercato di indirizzare il gruppo verso una linea di lavoro e di pensiero differente e molto suggestiva. Anche a livello tecnico, sono stati presi calciatori in grado di esaltarsi nel collettivo e che difficilmente hanno (o addirittura non hanno più) la forza per spaccare le partite con un loro capriccio. Fuori gli Icardi, dunque, fuori i Perisic e i Nainggolan: DNA e midollo osseo dell’Inter delle fatiche e dei miracoli, delle salite e delle discese improvvise e agonizzanti. I sorrisi durante la presentazione della terza maglia in Piazza Duomo (vedi articolo), le coccole via social tra Lautaro Martinez e Romelu Lukaku, l’abbraccio tra Stefano Sensi e Nicolò Barella in Nazionale e l’atmosfera generale sono segnali forti, da cogliere proprio per quello che rappresentano. Una squadra nuova, fresca, che sta tentando di strapparsi di dosso lo strato di pelle putrida che ne copriva le spalle fino a qualche mese fa.

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