Editoriali

Inter come Cenerentola a Barcellona. La rabbia e l’orgoglio di Conte

Dopo un primo tempo entusiasmante, l’Inter di Antonio Conte si arrende alla qualità dei singoli del Barcellona. Suarez spezza l’incantesimo, ma per i nerazzurri è una sconfitta dal peso specifico paragonabile a quello di una vittoria.

ILLUDERE PER POI ILLUDERSI – Quarantacinque minuti di carattere. Quarantacinque minuti di leggerezza e tautologico ardore. L’Inter si batte il petto per un tempo intero nella cattedrale del calcio orizzontale blaugrana, dove la palla viaggia veloce e l’area avversaria viene cinta d’assedio con manovre pallanuotistiche da fiato sospeso. L’Inter dei piculin Stefano Sensi e Nicolò Barella guarda occhi negli occhi i giganti del possesso palla e delle imbucate impossibili. L’Inter dei gregari e dei quinti infaticabili, per quarantacinque minuti, ha avuto la forza di scavalcare il primo pressing del Barcellona senza troppi problemi, rendendo banali e prevedibili le uscite tardive dei ragazzi di Ernesto Valverde. Per quarantacinque minuti l’Inter ha preteso di uscire dal Camp Nou con la testa del Barcellona sul proprio scudo. Per un tempo e qualche scampolo, l’Inter ha potuto pretendere antipasti e prime portate in un ristorante da cento e più verdoni. Ma al momento dei secondi piatti, la mezzanotte è rintoccata e la Cenerentola nerazzurra si è accorta di non avere più i cavalli bianchi davanti alla propria carrozza.

GARRA – Resta la magia di un incantesimo che profuma di carattere e orgoglio, col retrogusto di pregiudizi infranti e di illusioni pericolosamente vicine al concreto. I blaugrana, troppo compassati e inermi per essere veri, pescano nuova verve dalla panchina. Come se la cattiveria agonistica e l’incisività di Arturo Vidal andassero custodite in gran segreto nei sotterranei più oscuri di un castello con mobilio e argenterie luccicanti. Vidal morde, graffia e ringhia come un mastino a digiuno da troppo tempo. Il cileno, che da Antonio Conte probabilmente sarebbe tornato e che con l’Inter ha un conto in sospeso, trova anche il tempo di disegnare un arcobaleno a mezz’aria che Luis Suarez trasforma in zaffiro. Il centravanti ex Liverpool spezza i sogni dell’Inter con due gol crudeli e spietati. Sull’uscita a vuoto di Diego Godin rintocca la mezzanotte e la carrozza di Conte torna a essere zucca.

SINGOLI – Trovare rimpianti in una serata del genere è tanto facile quanto irrispettoso. Cenerentola aveva accarezzato il sogno di poter brindare al tavolo dei commensali più illustri, col cadavere del re iberico steso a terra come pelle d’orso bruno. Restano la rabbia e l’orgoglio di un’Inter che chiede rispetto tramite il suo allenatore. È un rispetto, forse, dai toni astratti: quello di potersi illudere anche al cospetto dei più grandi. Ma l’Inter viene abbagliata dal timore delle sterzate di Lionel Messi e dai movimenti leggiadri del biondissimo Frenkie de Jong, non accorgendosi che Suarez e Vidal erano saliti in cattedra per fare il lavoro sporco.

CONSAPEVOLEZZA – L’Inter è atterrata sul pianeta dei marziani in silenzio, col capo schiacciato a terra e la volontà di non fare proclami. Torna a Milano con la consapevolezza di essere all’inizio di un percorso lungo, affascinante e complesso. C’è un timoniere in piedi, di fronte alla panchina, che guida la ciurma attraverso le intemperie. C’è entusiasmo, il giusto. C’è voglia di far bene, tanta. C’è talento, anche grezzo. C’è rabbia, c’è orgoglio. Ma prima o poi anche Cenerentola ritroverà la sua scarpetta di cristallo. Il prezzo di quella calzatura, come quello del ristorante in cui finirà per sedersi, decidetelo voi.

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