Editoriali

Danilo D’Ambrosio e l’imprevedibile virtù dell’essenzialità. Anche per l’Inter

La storia calcistica di Danilo D’Ambrosio con l’Inter è fatta di impatti, di alti e bassi. Lui, ragazzone campano in perenne debito con la critica, ha trovato il modo di rendersi speciale e imprescindibile nella sua banalità.

ESSENZIALE – Definirsi essenziale spesso fa rima con l’essere banale. E la banalità viene da tutti riposta nel baule di ferro delle cose leggere, quelle date per fatte da riesumare solo in caso di necessità. Necessità, appunto, un’altra parola chiave che potrebbe chiudere il sillogismo di qualche riga sopra e proiettarci nello strano microuniverso di Danilo D’Ambrosio, campano di sangue ma non di vizio: egli non ha sangue caldo, poiché non potrebbe permetterselo, ma ha certamente una buona stella che continua a spianargli la via maestra. O forse, si tratta semplicemente della sua clamorosa predisposizione nel piegare e modellare gli eventi, come ferro bollente, sull’incudine dell’essenzialità.

IMPATTI – La storia calcistica di Danilo D’Ambrosio, soprattutto all’Inter, è fatta di impatti continui. Onde d’urto che scombussolano per un breve lasso di tempo il baule delle sue certezze, facendolo pericolosamente vorteggiare nonostante le incisioni in ferro. Ma la temporanea perdita di equilibrio non basta a far collassare il sistema D’Ambrosio che, strizzando l’occhio agli assiomi della fisica, torna a macinare chilometri come se nulla fosse accaduto.

ALBORI – Volendo restringere il raggio d’interesse del discorso, è possibile affermare senza ombra di dubbio che D’Ambrosio sia approdato all’Inter nel miglior momento della sua carriera. Dopo aver ritrovato la promozione in Serie A col Torino di Gian Piero Ventura, il tornante campano imperversa anche sui campi della massima serie. Corre, lotta, segna (poco per la verità, quattro gol in due anni coi granata in Serie A), e fa segnare. Combatte a destra e a sinistra nel 3-5-2 mortifero di Ventura, formando assieme a Matteo Darmian una delle coppie di laterali più incisive del passato recente. Indossa spesso la fascia da capitano ed è un leader vero. Porta i calzettoni fin sopra il ginocchio come i dribblomani brasiliani e duetta che è una meraviglia con Alessio Cerci e Ciro Immobile. L’approdo in nerazzurro divide la piazza come al solito, nonostante si tratti effettivamente di uno fra i migliori interpreti del 3-5-2 in quel preciso momento storico. I nerazzurri a quei tempi sono sotto l’egemonia di Walter Mazzarri, che vede in Danilo un barlume di freschezza ed elettricità per la sua Inter muscolare.

CAOS – Gli anni in nerazzurro assumono le parvenze di montagne russe impazzite. Non fosse altro per il calderone mediatico, tattico e societario in cui finiscono per ribollire (a temperature diverse) tutti gli interpreti di una storia ormai nota fin nei minimi dettagli. Ma in mezzo a stagioni più che tribolate, le certezze vengono distillate con estrema attenzione. Una di queste è certamente D’Ambrosio, in presunto debito perenne con la critica. Ma come detto poche righe più su, una delle peculiarità dell’ex Torino è quella di saper mantenere la calma. Nelle ultime due stagioni è passato alla cassa più volte coi detrattori storici, riempiendo loro la bocca di buone parole e complimenti dovuti. Danilo ha soltanto saputo aspettare.

DESTINO – Il primo gol con l’Inter lo segna allo Stjarnan nei preliminari estivi di Europa League, squadra che probabilmente non vi dirà nulla, ma per Danilo la prima rete con la nuova maglia non poteva che essere essenzialmente banale. Essenziale sarà invece quella al Dnipro (un mese dopo), che di banale aveva decisamente poco se non la conclusione di punta (in precario equilibrio) dopo uno slalom speciale che ricordava quelli del periodo torinese e dei calzettoni da fighetta. L’Inter non è mai riuscita a far bella figura in Europa League e probabilmente è anche colpa di D’Ambrosio, che alla banalità della regola per cui una big di Serie A dovrebbe ben figurare ogni anno in una competizione teoricamente minore, non ha proprio voluto piegarsi.

BATTICUORE – Cosa accade se il simbolo della banalità e dell’essenzialità frugale sceglie improvvisamente di riscoprirsi appariscente e decisivo? Semplice, c’è un collasso. D’Ambrosio si è riscoperto decisivo e imprescindibile nelle ultime due stagioni di rinascita nerazzurra, impattando fisicamente i momenti topici della propria squadra. Basta fare un rapido through back al minuto 96 del derby del 17 marzo scorso. Inter in vantaggio 2-3 sui cugini, D’Ambrosio impatta uno degli ultimi assalti di Patrick Cutrone a pochi passi dalla linea di porta, come un condannato a morte che grida le ultime frasi concitate prima del trapasso. Ma anche il 20 maggio del 2018, all’Olimpico, Danilo aveva trovato il modo di dare una spallata decisiva al destino dei suoi compagni. La notte di Matias Vecino non sarebbe stata la stessa senza il repentino pari di D’Ambrosio allo sfortunato autogol di Ivan Perisic in avvio. Anche in quel caso, Danilo colpisce palla e qualunque altro oggetto mobile a cavallo della linea bianca. Non erano ammessi prigionieri. Inter in Champions League dopo Dio solo sa quanti anni di Purgatorio indigesto.

INOSSIDABILE – Dulcis in fundo, poiché il destino ama divertirsi fino a sazietà, gli ultimi minuti di Inter-Empoli, che probabilmente faremo fatica a dimenticare. L’Inter soffre, maledettamente. È la serata in cui Bartlomiej Dragowski mette il mantello da supereroe. Ci provano tutti, nessuno lo trafigge. Poi Keita Baldé Diao la sblocca, ma Mauro Icardi fallisce un rigore e l’Inter affonda. Samir Handanovic para, Hamed Junior Traoré pareggia: gelo su San Siro. D’Ambrosio è probabilmente fuori posizione sull’invito al gol per il centrocampista dell’Empoli, ma avrà modo di rifarsi. Nel frattempo Vecino, altro individuo essenzialmente banale, riveste i panni da personaggio dei fumetti e ispira la rete di Radja Nainggolan dopo un palo clamoroso. L’Inter sembra avanti, poi accade l’imponderabile. Giovanni Di Lorenzo infila Francesco Caputo con maestria e con Handanovic in uscita, l’ex Bari furbescamente gira il pallone al centro dell’area piccola dove basta una minima vibrazione per spingerlo in porta. La vibrazione arriva ma è quella sbagliata. È quella di D’Ambrosio che, in mezzo a due calciatori avversari e a porta totalmente sguarnita, si lancia a capofitto sulla sfera con le gambe messe a squadra (un po’ come aveva fatto col Milan, ma stavolta è lui a imporre l’impatto). Danilo colpisce il pallone nella parte bassa e la sfera si impenna, danza sulla traversa e l’azione pian piano smussa il proprio climax emotivo. Danilo urla, salta, sbraita. Non esulta come in occasione del derby. Si arrabbia perché sa di aver impattato il pallone in una maniera apparentemente irripetibile, ma tremendamente banale per lui. Danilo ha salvato la stagione dell’Inter e quest’anno sembra essere già ripartito alla grande. Pochi giorni fa ha compiuto trentun’anni (e noi lo abbiamo celebrato così) ed è forse un po’ tardi per rinnovargli gli auguri, ma non ha importanza. Anche perché l’unico augurio che ci sentiremmo di fargli è quello di continuare ad impattare il destino della Beneamata. E di farlo nel modo piu banale possibile, che poi è anche quello più essenziale.

 

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