Editoriali

Balotelli sfida l’Inter: un amore fugace rotto col pianto in una notte europea

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Oggi Balotelli ritrova la “sua” Inter nel match di questa sera con il Brescia. Ecco la cronistoria del rapporto emotivo tra l’attaccante delle rondinelle, l’Inter, i suoi allenatori e l’ologramma di se stesso. 

GLI ESORDI – Mario Balotelli e la sua Inter tornano ad incrociare le lame dopo quasi tre stagioni. L’aggettivo possessivo non ha nulla di provocatorio, bensì intende rimarcare una dimensione di familiarità logorata, perduta, sdrucita da un recente passato carico di contraddizioni. Era il 16 dicembre 2007 quando un giovanissimo Balotelli faceva la sua prima apparizione, a Cagliari, con la maglia dell’Inter. Dopo aver fatto faville in Primavera, Roberto Mancini decide di premiarlo con un esordio fugace in Serie A (appena sessanta secondi in campo). Quello in Coppa Italia, avvenuto tre giorni più tardi, accende i fari dei media su questo ragazzo che di nome fa Mario, ma di cognome farebbe anche Barwuah, e che ha appena messo a segno una doppietta contro la Reggina. I due gol, nel turno successivo, contro la Juventus, all’Olimpico di Torino, scrivono in calce le prime lettere della storia di questo ragazzo, mettendone in mostra le qualità spaziali.

ROMBO DI TUONO – Il primo Balotelli è un calciatore di cui si innamorerebbe chiunque: veloce, rapido, deciso e stilisticamente godibile. Abbina la grande capacità finalizzatrice ad un esplosivo senso estetico per la rete. Le doti balistiche, neanche a dirlo, fanno impressione e l’Inter se ne accorgerà in un freddo mercoledì di Champions League, contro il Rubin Kazan. Mario spara un missile su calcio piazzato che archivia la pratica russa e lancia l’Inter verso gli ottavi di finale. Ma stiamo correndo troppo, perché il Balotelli del triplete è già un calciatore con le proprie specificità, e che sta già mostrando i primi segnali di atrofizzazione tattica.

CARATTERE – Facendo qualche passo indietro, è inevitabile rimarcare il rapporto tra Balotelli e il suo padre putativo: Roberto Mancini. L’ex tecnico dell’Inter era diventato quasi una figura paterna per il ragazzone di origini ghanesi. Tra buffetti, bastoni e carote, Balotelli viene su con una coltre piuttosto massiccia di spregiudicatezza comportamentale, dietro la quale arranca a tentoni un talento purissimo visibile a occhio nudo. Quelli sono anni di un’Inter dominante, fisicamente e tecnicamente, che ha perciò bisogno di calciatori capaci di imporsi a trecentosessanta gradi. Sono gli anni di del mito di Zlatan Ibrahimovic e del canto del cigno dell’Imperatore Adriano. L’immaginario calcistico di quel periodo riscopre una sorta di culto per l’arroganza, per i superpoteri e per l’egocentrismo esasperato. L’ologramma di ‘Supermario’ va ad insinuarsi nei gangli di questo contesto, alimentando la propaganda del talento ‘bello e dannato’ di ultima generazione.

ROTTURA – L’arrivo di José Mourinho non sembra affatto incoerente con la situazione appena descritta. Un sergente forte e dominante per un gruppo, quello interista, stanco di sentirsi profeta solo in patria. Tra il portoghese e Balotelli son rose (appunto la rete col Rubin Kazan) e crisantemi (doppio giallo sanguinoso all’andata contro i russi). Il 2010 è l’anno della rottura definitiva con l’ambiente Inter, nonostante Massimo Moratti abbia covato in gran segreto l’idea di riportare a casa il figliol prodigo. Ma quello è anche l’anno in cui ogni tifoso nerazzurro ha già una sua idea ben precisa di Balotelli. E se il ricordo del primo Mario, quello polimorfo, in grado di disimpegnarsi benissimo anche come attaccante esterno del 4-2-3-1, è ancora più che vivido, esso viene puntualmente soppiantato dal brutto gesto dell’eroica semifinale d’andata contro il Barcellona degli inumani.

NUOVO MARIO – Ciascun interista cova una particolare immagine di Balotelli. Nel suo caso, forse più che in molti altri, diventa difficile scindere il discorso etico da quello prettamente tecnico. E lo si nota anche quando Mino Raiola decide che è ora di fargli cambiare aria e di ricongiungerlo con la stirpe paterna. Ma quando Balotelli approda in Inghilterra, sponda Manchester City con Roberto Mancini in panchina, probabilmente è già troppo tardi. Quello con l’ex tecnico dell’Inter è un rapporto morboso, familiare, a tratti quasi fisico. Talmente fisico da culminare in spintoni e schiaffoni durante un allenamento come gli altri. Ma quel Balotelli, quello della doppietta alla Germania e della Nazionale dei ‘bad boys’ con Antonio Cassano, è già caduto nell’irreversibile. È diventato quasi immanente, anacronistico, statuario come un monumento, col mondo intorno che scorre e lui incapace di tuffarsi nel fiume del cambiamento.

PASSATO – Il Balotelli post-moderno ha perso gran parte dell’hype che ne ha contornato praticamente tutta la carriera. Alcune sfortunate esperienze estere ne hanno sgonfiato l’epopea e, via via, i trasferimenti di ‘Supermario’ non facevano quasi più notizia. Le immagini del Balotelli ad inizio carriera cozzano anche tecnicamente con quello che l’attaccante, nato a Palermo, è finito per diventare. Senza rimpianti alcuni, soprattutto da parte sua, perché in linea di massima il destino ci chiama solamente ad unire i puntini e Mario lo ha fatto nel modo in cui si è sentito di farlo. Stasera sarà di fronte a quei colori che ne contornavano l’aura mistica di ragazzo prodigio. Affronterà l’Inter, lontano da San Siro, quasi a voler rimarcare un distacco necessario con quella che era, e sarebbe potuta essere, per lui una seconda famiglia. La prima è stata quella dei Balotelli, con mamma Silvia e papà Franco (deceduto nel 2015) a cui deve tantissimo. A Brescia è tornato quasi sentendosi in debito, mentre per il confronto a muso duro con San Siro ci sarà tempo. Stasera probabilmente scambierà la maglia con un calciatore dell’Inter, magari con Romelu Lukaku. Sperando che questa volta abbia la decenza di tenerla sulle spalle sudate. O quanto meno di indossarla per un’ultima volta.

Pubblicato da
Daniele Berardi

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